R. Besola – A. Ferrari – F. Gallone
Fratelli Frilli Editori
Anno 2013
Pag. 220
Recensione di Ivo Tiberio
Ginevra
pubblicata su www.thrillercafe.it
Ho letto di furti audaci,
strampalati e religiosi, su tutti D. Westlake con “Meglio non chiedere”, dove una banda d’affermati professionisti del
crimine diretta da Dortumunder ruba
la reliquia miracolosa di Santa Fergana.
Ho visto film di furti audaci,
strampalati e religiosi, su tutti “Operazione
San Gennaro” con il grande Nino Manfredi nella parte di Armanduccio
Girasole detto Dudù e con nel mirino
l’inestimabile valore del tesoro del patrono di Napoli.
Oggi ho letto di un furto audace,
strampalato e religioso fatto da Angelo (il Cencio), Osvaldo (il Gigante),
Lorenzo (il Gagà). Una banda improvvisata, alter
ego dei tre scrittori italiani che nella vita fanno proprio gli stessi
mestieri dei nostri raffazzonati furfanti, e infatti, Riccardo Besola è un
pubblicitario (il Gagà e mente del gruppo), Andrea Ferrari dirige una comunità
per anziani con balera e bocciofila (il Gigante) e Francesco Gallone vende
fiori artificiali al mercato (il Cencio).
Il furto è fra i più incredibili
che una banda abbia mai pensato di effettuare. Si tratta di rubare un’enorme statua tutta d’oro. 500 chili d’oro,
alta più di 4,00 metri, posta a circa 100 metri d’altezza, nel posto più in
vista della città di Milano e in quello più arduo da raggiungere. E sì, l’avete
intuito. Si tratta proprio della Bella
Madonina che te brilet de luntàn tutta d’oro e… Tutta d’oro? D’oro un
cavolo. Quella è la leggenda. Nei fatti è semplice rame dorato, ma i tre invece
la credono veramente d’oro e non devono far altro che rubarla con l’aiuto di un
elicottero, poi una volta ridotta a pezzi, ricavarci più soldi possibili per
risolvere ognuno i sui problemi, perché la nostra banda è decisamente ridotta
alla canna del gas in una Milano del 1973, dove trionfa l’edilizia selvaggia (l’Osvaldo
rischia di perdere il suo ristorante con bocciofila se non lo riscatta a danno
di un costruendo orribile stabile in via Ripamonti), dove proliferano bande
criminali che tengono sotto scacco la polizia (il Gagà per qualche prestito in
più rischia di essere ammazzato dagli strozzini) e dove si vede per la prima
volta l’affacciarsi in quella realtà dello spettro della disoccupazione (il Cencio
ha perso il suo lavoro da fioraio e deve mandare avanti la numerosa famiglia).
Rispetto ai citati Dortumunder e Dudù che rubano solo per denaro, per il nostro trio far sparire la
Madonnina non è solo risolvere i rispettivi problemi economici, ma qualcosa di
più, è quello che “mai nessuno, prima
d’ora ha osato fare: profanare il simbolo stesso della città di Milano. La città
che ha generato il loro bisogno ha generato anche la loro necessità. E la loro
necessità è tremenda, in tutta la sua disperazione”. Oltre ai soldi c’è di
più, molto più della rivalsa di gente disperata che in questa città ha visto il
pane “Milan gh’è il pan”. In questo
gesto disperato c’è “il significato
simbolico, la metafora di rubare ciò che di più prezioso e rappresentativo
possiede chi ti ha tolto tutto. Tutto….. e Osvaldo per la prima volta prova un
odio profondo per quel catino di menzogne di cemento e menzogne che è diventata
la sua città. Milano che oramai è amara come un bicchiere di olio di ricino”.
Il piano è semplice da attuare. Basta
un elicottero, imbracare la statua e via, ma se il pilota è un reduce americano
della seconda guerra mondiale che ogni volta attacca la solfa di: “Eravamo io, Johnny Michigan, Karl e Lenny
Malone”, allora le cose si complicano.
Operazione Madonnina oltre a Angelo, Osvaldo e Lorenzo ha altri due
protagonisti minori altrettanto completi e ben caratterizzati: l’ispettore di
PS Benito Malaspina (chissà se i tre scrittori sono a conoscenza che il carcere
di Caltanissetta si chiama proprio con il cognome del poliziotto) ossessionato
dall’essere al centro dei pensieri del boss Ugo Piazza che vuole ucciderlo per
vendetta e Dino Lazzati detto Fernet,
superstizioso e valido giornalista di cronaca nera. Ma tutti i personaggi di quest’opera
sono ideati nel modo migliore. Sono completi, psicologicamente trattati,
perfetti e socialmente inseriti in quella Milano del 1973, così ben ricreata
anche nei dettagli politico sociali.
La narrazione in terza persona è
bella, lucida, serrata, efficace, diretta, ironica quanto basta e intercalata
da dialoghi in dialetto milanese piacevoli e caratteristici, che fanno vivere
perfettamente l’ambientazione, l’epoca dei fatti, le miserie e i tradimenti del
dopo boom economico della nostra Italietta.
Questa impeccabile dimensione storico-sociologica,
la stessa trama di per sé originale, l’ottima caratterizzazione dei personaggi
tutti, e il brillante stile narrativo, collocano l’opera del trio Besola –
Ferrari – Gallone fuori dal romanzetto e la fanno meritevole di un posto di considerazione
nella moderna narrativa italiana, più che capace di confrontarsi con quella
d’oltre oceano, e di fronteggiare a testa alta i colossi dell’editoria
commerciale.
recensione di Ivo Tiberio Ginevra
Nessun commento:
Posta un commento