lunedì 11 marzo 2013

Chiamami Buio


Autore: Massimo Rainer
Editore: Todaro
Data di Pubblicazione: Settembre 2011
Pagine: 208

recensione di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata si www.thrillercafe.it

Chiamami Buio, non è un libro per tutti. Assolutamente No! Vi trascrivo l’inizio così vi fate subito un’idea.

"La testa della zoccola annuisce sul mio uccello dritto, seguendo docilmente i movimenti delle mie mani e mantenendo la giusta velocità da crociera.
Da brava puttana professionista, ha sempre saputo come usare al meglio la sua boccuccia, sicuramente rifatta da qualche chirurgo plastico, per dare piacere alla clientela.Lui, seduto dietro, mugugna, assistendo alla scenetta da film porno di terza categoria. Mugugna e sanguina dagli occhi pesti, il gran bastardo.
E io mi diverto troppo. Godo davvero come un matto ficcarlo in bocca alla sua troia, fino alle palle, mentre lui, legato come un fottuto salame e imbavagliato con del nastro adesivo da imballaggio, è costretto a starmi a guardare che me la passo alla grandissima".

...Allora siamo d’accordo. Non è una lettura per tutti, ma per chi piace il genere pulp “Chiamami Buio” deve rappresentare un testo di riferimento italiano.

Buio è uno sbirro strafatto di cocaina dalla personalità borderline. Vive e lavora a Milano, che ovviamente odia, ma questo è il minimo sindacale. Odia anche il prossimo suo che non rispetta affatto ad eccezione del fratello prete, unico suo legame con la famiglia. Per il resto è piuttosto corrotto, odia anche la legge in seguito ad un trasferimento punitivo e approfittando del suo ruolo e di qualche collega come lui, mette in piedi delle vere associazioni a delinquere dedite al traffico di droga e prostituzione, non disdegnando l’opportunità del crimine occasionale, dei ricatti ecc. ecc.. È piuttosto comprensibile che un personaggio così abbia dei nemici giurati che lo vogliano uccidere e proprio da uno tentativo andato a vuoto di farlo fuori si dipana una vicenda incalzante, ricca di colpi di scena fino al suo epilogo imprevedibile e spietato.

Recensire “Chiamami Buio” di Massimo Rainer non è semplice. La prima domanda che mi sono posto è stata a quale genere letterario assimilare quest’opera. Pulp? Hard-boiled? Poliziesco? O semplice spazzatura? Punti di contatto fra questi generi ne ho riscontrati abbastanza, ma erano molti e spesso contraddittori, soprattutto con l’Hard-boiled, perché se è vero che con questo genere Buio ha in comune il suo modo di agire solitario, l’anaffettività che lo vede inadeguato a farsi una famiglia, il bazzicare luoghi malfamati, l’essere sempre senza un centesimo, l’esagerazione nel bere e fumare, nonché un linguaggio piuttosto gergale, ha pure in netta contrapposizione con il genere Hard-boiled, l’assenza totale di giustizia nonostante sia un servitore dello stato, il perseguire sempre e solo i suoi loschi traffici, oltre a spingere all’eccesso tutto quello che fa male, come fumo, alcol, e droga in particolare. Anche il sesso è piuttosto sovrabbondante come il linguaggio spesso volgare. Poi con i mentori del genere come Sam Spade di Hammett o Philp Marlowe di Chandler, Rainer con il suo “Chiamami Buio” ha proprio pochissimi punti un comune e inoltre, in questo romanzo, manca l’indagine, in pratica, la cosa essenziale. E manca pure la narrazione di una società radiografata nel suo malessere, con le sue storie di disadattati, corrotti e corruttori, delinquenti e donne che sanno tradire. Mancano del tutto le figure positive, l’unica presente è ed ha il difetto di essere rassegnata alla sua stessa positività. Insomma Rainer e Buio hanno poco in comune con l’Hard-boiled e credo anche che sia ai limiti dello stesso sottogenere Pulp perché ogni situazione è esasperata fino al paradosso. Perché tutto è sempre spinto oltre l’eccesso, linguaggio compreso. In Chiamami Buio il degrado urbano e morale è la regola. La violenza come ragione di vita è la regola. La violenza orrenda è la regola. E deve essere grottesca altrimenti non ha alcun senso. Non deve avere giustificazione alcuna. Non ha e non deve avere alcun un perché. Se poi vogliamo cercarlo per forza diciamo pure che Rainer ha voluto far vedere come le mele marce si trovano anche all’interno delle istituzioni, che spesso sono bacate, strafatte di cocaina, corrotte, avide, depravate e assassine. Lo dice a modo suo con un personaggio che sta sopra le stesse righe, e lo dice stracatafottendosene ampiamente delle impressioni del lettore, perché Rainer (e uso il linguaggio appropriato) è uno che se ne sbatte i coglioni di dover scrivere per piacere. È uno libero. Uno coraggioso, che con la penna fa quello che vuole. Ha voluto creare un poliziotto come Buio e l’ha fatto. Bello nella summa di tutte le sue schifezze. Buio, infatti non conosce il limite. Applica la sua legge del male senza giustificazioni perché è semplicemente così. Marcio dentro. Buio è un protagonista assoluto fuori da tutti gli schemi.

All’inizio della lettura ho subito pensato al film di Abel FerraraIl cattivo tenente“, ma continuando lo scorrere delle pagine, questo Cattivo Tenente in confronto a Buio, mi è sembrato un’educanda. Nel personaggio di Rainer non c’è neanche l’ombra di un ravvedimento e in più c’è un’ironia lasciva che tiene viva l’attenzione perché non si distacca mai da una realtà guasta e orribile, obbligata ad essere descritta con uno sproloquio immorale e continuo. Esagerato. Sì, vero, ma questo è un risultato unico e credo inimitabile.

Il ritmo serrato della narrazione, la trama inattaccabile e i continui capovolgimenti delle situazioni creano un caos sovrano e generativo che ben si sposano con il progetto di Pulp estremo, che condito da un’ironia più che cinica, t’incolla alle pagine di un libro colorato di sangue e coca. Tradimenti e lussuria. Non si tratta di cattiverie attaccate le une alle altre solo per fare un Pulp, ma un progetto unitario ben sviluppato che non poteva essere scritto altrimenti.

Chiamami Buio è il miglior libro italiano di Pulp estremo e Buio è la peggiore pecora nera che ho incontrato, ed è vicina a tutti noi, più di quanto possiamo immaginare.

Undercover - Niente è come sembra


Autore: Roberto Riccardi
Editore: E/O
Collana: Sabot/age
Data di Pubblicazione: Ottobre 2012
Pagine: 219

recensione di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata su www.thrillercafe.it

Nell’accingermi a recensire Undercover di Roberto Riccardi, credo sia indispensabile parlare della collezione Sabot/age delle edizioni e/o perché questo libro deve essere letto e apprezzato nella coralità e soprattutto negli intenti della raccolta diretta da Colomba Rossi e curata da Massimo Carlotto.

Con questa collana non a caso chiamata Sabot/age si propongono ai lettori storie senza menzogna. Storie che i media nascondono al pubblico. Non una letteratura d’inchiesta o di denuncia, ma una letteratura informativa vera e attenta al nostro vivere quotidiano, che ha il coraggio di sviscerare cose nascoste e al contempo ben presenti a tutti noi, e questo a prescindere dal genere letterario scelto, infatti, si spazia con facilità dal pulp al poliziesco. Quello che importa è solo la fedeltà al progetto base e la ricerca di nuovi scrittori in grado di raccontare storie forti e soprattutto ben scritte.

Fatta questa doverosa premessa parlerò del libro di Roberto Riccardi con il giusto spirito, anche perché ci troviamo dinanzi a un romanzo scritto appositamente per far parte di questa collana editoriale.

Innanzitutto Roberto Riccardi è colonnello dell’Arma dei Carabinieri e direttore della rivista Il Carabiniere. Per anni ha lavorato tra la Sicilia e la Calabria indagando sulle attività criminali delle principali famiglie mafiose e della ‘ndrangheta, ed ha anche comandato la Sezione antidroga del Nucleo investigativo di Roma, svolgendo indagini in campo internazionale.

Ecco, tutta quest’esperienza è messa in campo dall’autore di Undercover insieme a una splendida narrazione ricca del miglior ritmo del romanzo d’azione, con trame complesse e scenari che abbracciano luoghi famosi e non. Con personaggi contorti o disadattati, ma soprattutto Undercover è un ricco, prodigioso racconto carico d’informazioni sul traffico di droga, dalla sua produzione nelle haciendas sudamericane al suo smercio. Informazioni che spiegano anche il funzionamento di strutture criminali mondiali come la Zetas messicana o la ‘ndrina calabrese, con le sue entrature nei posti che contano, e la sua organizzazione su base familiare dedita agli affari, al riciclaggio del denaro sporco, allo sfruttamento della mano d’opera e soprattutto al business della droga, comprata direttamente dai narcotrafficanti colombiani. “I calabresi invece sono intelligenti, si muovono sottotraccia come piante da radici sotterranee. Hanno soppiantato i siciliani in Estremo Oriente e nelle Americhe, in Australia e in Europa. Ovunque ci fosse da guadagnare arrivano loro. Sono diventati leader nel traffico mondiale della droga pur senza possedere fonti di produzione, pagando al bamba colombiana con l’eroina, mettendo i capitali al sicuro nei paradisi fiscali, investendo, comprando governi e scalando multinazionali“. Un bombardamento di notizie descritte magistralmente e con un realismo tale che, soltanto chi le ha vissute sul campo in prima persona ha potuto descrivere così bene. Riccardi ci regala anche informazioni riservate sulle stanze dei poteri usando anche il gergo tecnico/politico/militare a noi del tutto sconosciuto, vedi il cosiddetto “giro di tavolo” e si dilunga anche sulla scuola di formazione per agenti Undercover (che agiscono sotto copertura). Uomini che esistono sul serio, e che a rischio della loro vita, s’infiltrano nelle fila della criminalità organizzata nell’eterna lotta fra il bene e il male. Uomini veri non uomini che esistono solo nei racconti o nei film.

Romanzi così, mi spiego meglio, romanzi di questo genere ne abbiamo letti tanti, ma quello di Riccardi oltre a distinguersi per uno stile letterario perfetto (privo anche di una semplice ripetizione), è narrato con un ritmo incalzante, nella coralità dei suoi personaggi. È pieno di colpi di scena, e al contempo sa essere altrettanto lieve e scorrevole, senza dilungarsi molto su alcuni aspetti, distinguendosi parecchio per le informazioni sul traffico internazionale della droga e facendoti riflettere su quanto organizzate e altrettanto globalizzate sono le stesse organizzazioni criminali, a volte facendoti anche vergognare di essere italiano.

Il personaggio principale Rocco Liguori, carabiniere undercover, è descritto con gran rigore psicologico senza mai diventare pesante, o peggio, didascalico. È piuttosto reale perché combattuto da quei dubbi insiti nell’uomo, tali da rendercelo particolarmente vicino, ma sempre, in ogni momento e in ogni caso, Rocco Liguori resta servitore di una giustizia che gli fa onore pure quando se ne potrebbe fare a meno perché, come dice il sottotitolo: “Niente è come sembra”.

Questo è Roberto Riccardi e questo è il suo Rocco Liguori: “Entro in lei come Ulisse nella città nemica. Ma nel suo corpo c’è una passione che sconfigge ogni guerra. I suoi occhi, nel buio, sono ali che portano in cielo, e non m’importa se sono di cera, so solo che adesso sto volando. Attimi in cui il tempo resta fuori della stanza, come la pioggia, come le scarpe. Poi le sue parole che non mi aspettavo. << Ti amo>>. Una montagna fatta di tre sillabe. Una frase che si dice all’inizio o alla fine di una storia, quando è troppo presto o troppo tardi. Non c’entra niente su questo letto dove ho portato l’inganno e il desiderio“.

Leggetelo.

La trama

Undercover, sotto copertura. È questo il ruolo che Rocco Liguori si è cucito addosso da quando ha cominciato la sua carriera nell’Arma dei Carabinieri. La sua è una storia già scritta: figlio di un Carabiniere in una terra stremata dalla ‘ndrangheta, da piccolo tirava calci al pallone con i figli dei banditi, di fronte a quegli uomini più grandi della giustizia lui abbassava lo sguardo ma ora, da sbirro, vuole guardare in faccia chi dilania ogni giorno la sua terra e cambiare le cose. Per questo frequenta il corso di Undercover dove “niente è come sembra”, così come ha sentenziato il Regista il primo giorno di corso. Lui, il Regista, è Nicola Clemente, un undercover di razza che sarà fondamentale per la crescita professionale e le scelte di Rocco.

Gli anni passano e Rocco vuole darsi alla carriera militare e spogliarsi dei panni difficili dell’undercover fino a quando una telefonata non scompiglia nuovamente i suoi piani. La chiamata arriva da Vera Morandi, l’agente dagli occhi nocciola che Rocco non ha mai dimenticato. Allora Liguori deve tornare alla sezione antidroga per portare avanti un’indagine a livello internazionale, lo deve al suo passato e lo deve al futuro.



martedì 5 marzo 2013

Il contrabbandiere


ENRICO CARLINI
EDB Edizioni
Anno 2010

Recensione di IVO TIBERIO GINEVRA
pubblicata su www.giallomania.it

Questo giallo ha tre peculiarità importanti.

La prima è insolita perché tratta sotto un punto di vista piuttosto nuovo una parte di storia moderna francamente molto trascurata. Mi riferisco alla guerra nei Balcani legata al crollo della Jugoslavia e a tutto quello che è conseguito del disciolto regime comunista di Tito con i suoi stati nuovi come la Serbia, la Croazia, la Bosnia, il Montenegro dei quali abbiamo forse solo una collocazione geografica e basta. Tutti sappiamo che c’è stata una guerra che ha portato il genocidio, la pulizia etnica, lo sfacelo dell’essere umano generando mostri come Karadzic, Mladic, Milosevic, ma tutto quello che abbiamo appreso ha avuto come fonte ufficiale la televisione di stato, con i suoi giornali che nel tempo hanno sempre filtrato le notizie e dato anche informazioni strumentali. Alcuni aspetti di quello che è successo, debitamente celati dai media, sono trattati con rigore storico-informativo da Enrico Carlini in questo giallo dal sapore atipico. Si evidenziano in modo particolare le collaborazioni con l’esercito serbo, lo sviluppo di nuovi software di guerra, e la particolarità degli orrori di un conflitto che ha prodotto tanto denaro illecito, come quello proveniente dalla vendita d’armi o dalla documentazione della violenza stessa, vista come spettacolare piacere di casta.

L’altra insolita caratteristica è pure legata alla storia ma questa volta è di casa nostra. E anche stavolta si tratta di storia moderna e dimenticata. Nomi che a buona parte di noi italiani oramai non dicono più niente: Pola, Zara, Ragusa, Fiume. Istria e Dalmazia. Italia non più nostra e ignorata, ma dolorosamente ancora ricordo troppo vivo e vicino per chi ha perso i suoi cari, le sue cose, le sue radici. Noi italiani eravamo in quelle zone da millenni. Quelle terre ci appartenevano e ci sono state tolte. I nostri italiani di quella penisola sono stati cacciati senza pietà, o ingoiati nelle foibe, o semplicemente spariti nel nulla grazie anche alla famigerata polizia politica di Tito. Quello che è avvenuto in quelle terre, è stata una pulizia etnica ai danni del popolo italiano, non una lotta di classe e dove ci sono i militari al comando, Enrico Carlini, ci ricorda che la sopravvivenza della minoranza non è mai garantita.

L’ultima insolita caratteristica ci porta alla riflessione sul grado d’abbandono in cui versano i nostri arsenali in cemento armato frutto di una paventata guerra avente come obiettivo l’invasione dell’Italia da parte dei paesi del patto di Varsavia.

In mezzo a questi scenari storicamente anomali per un giallo italiano, indaga il giovane commissario di Polizia Fabio Forti della Sezione Investigativa della Questura di Rimini, alla sua prima indagine di rilievo che lo vede suo malgrado coinvolto in un crescendo di circostanze dalle implicazioni internazionali.

La storia, però, inizia con il ritrovamento notturno di due cadaveri in una spiaggia isolata di Rimini. Il commissario Forti si trova a indagare su un caso all’apparenza di comune criminalità che da subito coinvolge l’ambiente tipico della costa romagnola con i suoi night club, discoteche e alberghi, luoghi a volte intrisi di delinquenza dedita alla droga, ai ricatti e alla prostituzione, ma il ritrovo inaspettato d’alcuni documenti durante una perquisizione lo porterà a dipanare una complessa matassa ricca di colpi di scena soprattutto nel finale, dove con precisione assoluta si chiude tutto l’ottimo disegno del narratore. Forti, poi, è un commissario sui generis; coraggioso, indipendente e acuto. Un personaggio che si fa ricordare a lungo.

In conclusione Il contrabbandiere di Enrico Carlini è un giallo/thriller che ci mette a conoscenza di alcuni trascurati aspetti del nostro recente passato nazionale e internazionale che vale assolutamente la pena di sapere, e soprattutto informa il lettore con semplicità di linguaggio, su alcune scomode verità non contenute nei libri di storia, e visto che viviamo in una società mediatica, sottolineo il fatto che si tratta di realtà mai documentate dai principali organi di stampa e televisione.

Un grande bravo a Enrico Carlini per l’originalità di ambientazione e per il rigore storico della vicenda. Ora è chiaro che attendo la prossima indagine del commissario Forti.