venerdì 19 ottobre 2012

Intervista a Matteo Bortolotti

Chiacchierata fra
Matteo Bortolotti e Ivo Tiberio Ginevra.
pubblicata su www.thrillercafe.it



[D]: Ho già detto di prepararti un disgustoso lattementa. Tranquillo non è il tuo barman che ad ogni persona grida: “C’è qui Matteo Bortolotti lo scrittore”. Il nostro barista è come Rollo di Amsterdam avenue dei romanzi di Westlake, pertanto ti indicherà sempre come “quello del lattementa“. Ma Bortolotti scrittore beve davvero questa cosa stomachevole?

[R]: Grande Cocomero, magari fossi come Dortmunder! Bevo davvero lattementa. A me piace, e poi è pure… verde!

[D]: Oramai sappiamo tutti che l’idea di trasformarti in personaggio nei tuoi romanzi te l’ha data Loriano Macchiavelli, ma perché hai scelto proprio questo look pazzesco buono solo per daltonici?

[R]: Be’, tutti gli altri protagonisti del panorama del giallo mi annoiavano. E i vecchietti del bar sotto casa mia erano già stati presi! Perché questo look? faccio le cose seriamente senza prendermi sul serio. Uno scrittore scrive sempre di se, ma per farlo ha bisogno spesso di passare attraverso dei personaggi, quindi per rendere efficaci dei gialli come ‘Il mistero della loggia perduta’, ho dovuto trasformarmi in un personaggio, trattandomi esattamente come tratto tutti gli altri personaggi: senza favoritismi perché abbiamo lo stesso nome, anzi!

[D]: E scusa, già che ci siamo il Bortolotti scrittore, davvero va in giro con giacca verde e camicia hawaiana? Mi risultano degli avvistamenti in tal senso.

[R]: Una notte di qualche anno fa, un amico nelle forze dell’ordine mi chiamò trafelato, convocandomi all’Istituto di Medicina Legale: voleva un parere su alcune ‘strane’ ferite che avevano trovato su un cadavere. Io non riuscii a dirgli di no. Non mi sembrava vero. Era proprio come nei film. Mi sentivo fichissimo, così non pensai che avrei dovuto passare da casa per cambiarmi… Venivo da una festa anni ottanta! Indossavo una giacca verde, una camicia hawaiana e risultavo particolarmente colorato rispetto a tutta quella morte che avevo intorno. Ricordo ancora il dialogo che scambiai con lui.
“Ma come ti sei conciato, Matt?”
“Allegro.”
“E’ morta una persona!”
“Be’, quando sono entrato in quel frigorifero il morto sembrava quasi che mi sorridesse!”
“Era il rigor mortis.”
“E che ne sai, tu? Magari lo divertiva il mio abbigliamento. E’ allegro!”

[D]: Cosa ha voluto fare il Bortolotti scrittore con quest’ultimo romanzo rendendosi protagonista egli stesso?

[R]: Che ne dici di usare parole meno ‘definitive’ di ‘ultimo romanzo’? Per esempio… ‘nuovo romanzo’!

Ho voluto scrivere il primo di una-spero-lunga-serie di romanzi gialli, di spassose e delittuose commedie dove si ride molto, ma ogni tanto si potrebbe anche piangere, dove si dicono un sacco di bugie, ma anche qualche piccola verità. Dove, dopo tanti anni di sovraesposizione alla violenza, ri-puntiamo il dito sull’anticamera del delitto: il vizio.

[D]: Qual è il rapporto con il tuo alter ego?

[R]: Lo odio. E’ lo stesso rapporto che ogni scrittore ha coi suoi personaggi: gli creo problemi e lui li risolve. Maledetto! E a volte ci riesce proprio come lo farei io. Altre volte è più bravo, forse perché è anche un po’ più antipatico, un po’ più intelligente, un po’ più nei guai di me.

[D]: E io in questo momento con chi sto parlando con lo scrittore o l’inguardabile?

[R]: Tutti noi siamo quello che ci raccontiamo di essere, a volte indeboliamo e rischiamo di diventare come ci raccontano gli altri. Tutti siamo autori del nostro personaggio, solo che spesso ci sfugge di mano. Io ho preso alcuni miei difetti e li ho amplificati disegnando un fumetto di me stesso, un fumetto che in alcuni casi ha molto di realistico. L’ho fatto per sparlare di me, del mio mondo, degli scrittori italiani, della nostra società.
[D]: La vicenda narrata nel tuo romanzo Il mistero della loggia perduta (ed. Felici) sembra piuttosto credibile, ma ha un reale un fondamento storico?

[R]: In questo primo giallo un maggiordomo viene trovato ucciso in modo particolarmente macchinoso e si scopre che la sua morte riguarda anche un tesoro della Massoneria. Per trovare il tesoro, il protagonista dovrà risolvere tre indovinelli lasciati da Giovanni Pascoli. Dunque, di vero c’è che Pascoli era massone come lo era il suo maestro Carducci, che la Massoneria alla fine dell’Ottocento propugnava ideali liberali e sosteneva quantomeno moralmente le rivoluzioni a tutti i regimi e le dittature. Di vero c’è che all’epoca l’allegra combriccola iniziatica era una fucina di libero pensiero e di democrazia. Poi chissà! Come dice anche Eco nel suo ultimo romanzo (ops!) la Massoneria è diventata una specie di spauracchio e di capro espiatorio per tutti. La Chiesa per prima, visto che i massoni, i carbonari, i giacobini, lottavano contro il Papa Re. Persino a sinistra tutti la schifano, quando si sa dai libri di Storia che le radici del socialismo sono piantate tra squadra e compasso. Allora di vero c’è, forse, che quando tutti danno sempre la colpa a qualcosa di esterno, di inafferrabile e ‘segreto’, di ‘deviato’ e ‘satanico’, probabilmente ci stanno prendendo per i fondelli, perché un nemico totale fa sempre comodo. Di vero c’è che non mi piacciono i pregiudizi, e mi sembrava divertente giocarci sopra. Senza risparmiare nessuno.

[D]: Cosa ti è piaciuto di più mentre scrivevi il romanzo?

[R]: Non è stato facile trasformare me stesso e alcuni dei miei amici in ‘personaggi’, mi sono divertito a guardarmi con gli occhi dei lettori, a indagare la mia città, a cercare tra i vizi e le complicità di chi tira i fili di Bologna. E non solo. La cosa più divertente è che ho ritrovato un vecchio amico: il giallo classico, il whodunit. Ho ritrovato nel sarcasmo di questo genere così finto eppure così vero, la forza per raccontare il mio mondo senza annoiare e senza fare l’intellettuale diarroico di verità rivelate. Questo non mi farà vincere dei premi. Lo so.

[D]: Al centro de Il mistero della loggia perduta c’è Bologna. Sappiamo tutti che la tua città la ami da morire, ma oggi nel 2012 cosa c’è che non ti piace più e vorresti cambiare?

[R]: C’è quello che già prima non funzionava, c’è una città che non va’ al passo con se stessa perché ha paura del cambiamento. C’è l’arroganza di chi si è sempre ritenuto vincitore perché stava dalla parte dei vinti, e questo è il più grande peccato di vanità e vigliaccheria che si possa commettere. C’è una città coraggiosa travestita da città ossessionata dai suoi fantasmi. Una città buona, nascosta sotto le macerie delle stazioni e dei partiti. Una città giovane travestita da forestiera dentro le case subaffittate ai fuorisede dell’Università, c’è una città arrabbiata che non ride più, lasciata fuori dai vernissage dei nuovi hipster radical chic. Gente che non ha il senso dell’autoironia, ma che la dovrà ritrovare. Io predico un’insurrezione fatta di sfottò e di lieto-fine, di guitti eroi giusti anche se considerati sbagliati, di giullari che ridono di se e fanno ridere gli altri smascherando la logorrea generale. Perché ridere è l’anticamera della rivoluzione. Oggi più che mai. Alleluia!

[D]: La maggiore soddisfazione che hai provato scrivendo Il mistero della loggia perduta?

[R]: Frasi come: “Ho letto il tuo romanzo e per tre ore ho riso!”, “Ho seguito la tua indagine… Volevo capire chi era l’assassino!”, “Scrivine ancora, la prossima volta che voglio dimenticare una giornata di merda voglio entrare in libreria e chiedere un Bortolotti!”, “Ehi, scrittore! Mi devi dodici euro!”.
Ehm, quest’ultima frase non mi ha dato soddisfazione. Le altre però…

[D]: Ho visto che sei anche molto attivo su internet ed hai un filo diretto con i lettori. Qual è il tuo rapporto con il pubblico? Cavolo! Sbaglio sempre Siete molto attivi…

[R]: ‘Il mistero della loggia perduta’ non è l’unico romanzo che ho scritto che vede la giacca verde protagonista. Mano a mano che lavoravo sul progetto, questa è diventata molto di più che una serie di romanzi. E’ diventato un mondo della storia che volevo condividere coi lettori, col pubblico nel senso più lato del termine. Un narratore non è nessuno se non ha qualcuno che lo ascolta, così ho deciso che per raccontare le avventure gialle di Matteo Bortolotti dovevo partire dalla base, ascoltare chi mi seguiva e cercare un contatto diretto con loro, e con questi mattoni costruire una casa comune. Si chiama ‘Professione Mistero’. Nel sito di professionemistero.it c’è Matteo Bortolotti, in giacca verde, declinato in tutti i modi possibili che le nuove tecnologie ci permettono di utilizzare. Stupide vignette ironiche, recensioni misteriose in cui consegno come voti delle ‘giacche verdi’, video in cui lo scrittore è protagonista di una serie di servizi riguardanti il mondo del mistero (e prende in giro alcuni televisivi), e poi ancora racconti inediti, anticipazioni… Ho persino spedito il prologo del romanzo una settimana prima che uscisse in libreria… in formato audio, però! Anche in questo caso l’ho fatto per giocare coi media, per esplorarli, e questo mi è valso il titolo di primo personaggio cross mediale italiano. Roba da matti. Non so nemmeno pronunciarlo.
Immaginate il dialogo a una festa, una modella mi si avvicina e chiede:
“Tu cosa fai nella vita?”
“Il personaggio cross mediale.”
“Ah, così vai in moto?”

[D]: Parlaci o se preferisci, parlateci pure dei tuoi/vostri progetti futuri.

[R]: La parte che preferisco: progetti futuri. Dunque, se riesco a camparci continuerò a fare lo scrittore e lo sceneggiatore, ma non è facile senza un partito politico alle spalle, senza un parente famoso o senza un patrimonio di famiglia. Per ora, sono quasi sette anni che ci campo senza dovermi vendere come un guru o parlarvi per forza di mafia, camorra e ‘ndrangheta, ma avrò bisogno di voi! Del pubblico! E non sono il solo, come me ce ne sono molti altri.
E’ già pronta una seconda indagine cartacea di Matteo Bortolotti, la storia di una ragazza trovata morta in un fosso, senza nome, ma con strani segni sulla pelle. E poi ci sono una serie di brevi e divertenti indagini che usciranno esclusivamente su ebook. Racconti lunghi il cui primo s’intitola ‘Cinquanta sfumature di verde’ ed è ambientato sulla riviera romagnola…

[D]: Qual è la regola che ti dai quando scrivi?

[R]: Alla base di ogni buona storia c’è il conflitto.

[D]: A cosa non puoi rinunciare quando scrivi?

[R]: Alla comprensione di chi mi sta vicino, al supporto di chi mi vuole bene. Non è facile far capire agli altri che in certi giorni stai scrivendo anche quando bevi una birra.

[D]: Convinci i nostri lettori a leggere Il mistero della loggia perduta.

[R]: Se sono arrivati a questo punto dell’intervista sono già convinti.

[D]: Una domanda cazzona: In cosa si rincarnerebbe Bortolotti scrittore? E il Bortolotti per daltonici?

[R]: Una risposta cazzona: entrambi ci rincarneremmo volentieri nella cyclette di Heidi Klum.

[D]: Un’altra domanda cazzona: Il Bortolotti, quello del romanzo, è un tipo sfortunato con le donne. E l’altro Bortolotti come va con le gentil sesso?

[R]: Tutti siamo stati sfortunati in amore. Tutti siamo stati ingannati, perché il più delle volte siamo noi stessi che ci inganniamo da soli. Ho vissuto molte avventure e qualche buon amore. Da quando indosso questa giacca verde, però, sono davvero fortunato!

[D]: Una domanda seria: che ho già fatta ad altri tuoi colleghi, ma è un argomento a cui tengo molto perché ho notato quanto la classe culturale italiana è insensibile al dramma del popolo Siriano, pertanto ti chiedo: Cosa diresti agli Stati Uniti ed ai principali governi europei tanto prodighi in Libia nella difesa dei diritti umani, quanto e nella stessa misura indifferenti in Siria? Dai Rimproverali! Sciogli le loro anime. Trova quelle belle parole che un grande scrittore come te può dire i questi frangenti, per smuovere le coscienze sociali.

[R]: Le parole migliori che in questo momento mi vengono in mente sono quelle di Stefano Tassinari, recentemente scomparso, cuore pulsante dell’Associazione Scrittori di Bologna quando io ne ero segretario. Sono le parole della sua bellissima e cruda poesia ‘Ti ricordi, America’.

“Peccato, America,

perché non hai capito neanche adesso

e allora fottiti, America,

per le tue guerre umanitarie,

le tue vendette corporali

il tuo Dow Jones che gioca all’altalena

il Ku Klus Klan, gli hamburger,

le pistole in ogni casa

le rappresaglie, i marines, le bombe sui civili

e l’inno cantato con la mano sul cuore

quando nemmeno sai, il cuore,

da che parte sta.

Fottiti, America.”

[D]: Ciao Matteo e grazie per l’intervista.

[R]: Ciao a tutti!

intervista di Ivo Tiberio Ginevra



lunedì 1 ottobre 2012

La donna che parlava con i morti


Autore : Remo Bassini
Editore : Newton Compton
Anno : 2007
Pag. : 238


Recensione di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata su www.thrillercafe.it

Con questa recensione voglio dar seguito al mio disappunto nei confronti delle case editrici, già espresso in occasione di Rosso Italiano di Massimo Rainer (ed. Barbera 2007) a proposito di libri messi anzitempo fuori catalogo, nella speranza di sensibilizzare i lettori e magari qualche editore a voler leggere, cercare, o ripubblicare delle ottime opere di romanzieri più o meno conosciuti, che altrimenti sarebbero dimenticate.

Il libro di oggi è La donna che parlava con i morti di Remo Bassini, pubblicato nel 2007 da Newton Compton Editore e già fuori catalogo.

Gravissimo errore per due motivi fondamentali.

Primo perché Remo Bassini è uno dei pochi narratori italiani contemporanei che con profonda e lucida semplicità riesce a descrivere le contraddizioni delle provincie del nord Italia nella solco della tradizione tipica di grandi scrittori come Cesare Pavese, Dino Buzzati ed altri noti (e questo posso dirlo poiché non sono di parte e non ho alcun interesse personale).

Secondo perché l’opera è di alto valore letterario e a distanza di cinque anni è ancora attuale, godibile e credo unica nel suo genere “giallo”.

La trama

È il primo giorno di settembre, fa caldo. Nell’aria, Anna Antichi sente l’angoscia del suo fallimento esistenziale: un incubo di giornate sempre uguali da consumare in un paese troppo piccolo per i suoi sogni. Con l’anima spezzata da un grave lutto familiare, Anna è una ragazza invecchiata troppo presto e il corso degli eventi aggiungerà dolore al suo dolore. Fabrizio, lo strano poliziotto di cui si è innamorata, è scomparso improvvisamente: i suoi colleghi brancolano nel buio e Anna si rifiuta di credere a una realtà troppo dura da accettare. Dal passato di Fabrizio affiorano, infatti, le tracce che portano fino alle profezie di una misteriosa Marta. Fili sottili che Anna è costretta a seguire nel tentativo di liberare se stessa e l’uomo che ama da un destino di disperazione.

Anna Antichi è un personaggio semplice e complesso al tempo stesso. È anarchica figlia d’anarchico. Testarda come un mulo. Sfrontata, irritante, impulsiva, paranoica, complicata, inquieta, vive solo “il tutto o il niente” ed è piena di difetti, ma ha pure delle qualità contrapposte. È forte dentro. È molto sensibile. Coraggiosa, pratica, intelligente, onesta e soprattutto è innamorata e soffre. Soffre molto per amore, e non solo per quello di Fabrizio, ma anche per quello rimpianto del padre e per quello inespresso della madre.

Anna Antichi è un personaggio vero, o meglio, Remo Bassini riesce a creare un personaggio vero, vivo, ricco di una sensibilità femminile così intensa, da far credere che sia stata addirittura descritta da una donna, per come è intimamente spiegata. Da uomo non è facile scavare nell’animo di una donna. Non lo è affatto nelle sue passioni, nel suo amore e soprattutto nel suo dolore, nel suo tormento senza pietà. Scusate ma tutto questo, non è poco.

Anche gli altri personaggi del romanzo sono perfetti e indimenticabili. Ognuno di questi, a partire dall’amato Fabrizio è completo, ben caratterizzato e con un ruolo preciso e funzionale nell’insieme della storia. Ognuno introduce sempre un tema o rappresenta qualcosa. Un qualcosa d’importante come l’onestà intellettuale (il padre anarchico di Anna), l’amicizia (Fabrizio), l’invidia, la caparbietà, l’onore, la giustizia, il passato con la sua storia, la guerra, l’omicidio di una giovane innocente, l’omicidio di un giovane idealista. Il mistero. Fili tutti legati dall’amore, dalla sofferenza e dal tormento dell’anima.

Il vero protagonista del romanzo è il dolore, assoluto, incondizionato. In una sola parola Potente. Protagonista da subito di una escalation senza uguali, fino a diventare lirismo. Un dolore vero che scaturisce dalla passione, inserito in un sordo contesto quotidiano, mai espresso in modo sensazionale e confinato a restare intimo. Un dolore che muta e fa crescere.

Lo sfondo della narrazione è come sempre quello della provincia Italiana del nord Italia, con le sue atmosfere e contraddizioni, messe impietosamente a nudo, insieme ai difetti, alle ipocrisie e alle sue devastanti indifferenze. Raccontare di questo, e così bene, senza essere un “grillo parlante” retorico e moralista, oggi lo sanno fare davvero in pochi, e credo, veramente molto pochi se si tratta di un giallo intriso di mistero.

A proposito del genere letterario scelto da Remo Bassini c’è da dire che si tratta di un “giallo” piuttosto atipico, dove l’azione scenica è sostituita dall’evoluzione psicologica dei suoi personaggi, e della protagonista in particolare, fino a superare l’essenza stessa del genere narrativo per uno di gran lungo respiro che tocca le corde dell’opera letteraria.

La genialata del romanzo La donna che parlava con i morti, (titolo inquietante e retrò), è l’enigma che ruota intorno a questa donna che fino all’ultimo non sarà svelato.

In conclusione la narrazione di Remo Bassini ha sempre un’anima forte e bella che penetra nella psiche del lettore come un soffio vitale fino a trasformarsi in essenza del quotidiano e sublimazione del leggere.

Ivo Tiberio Ginevra



Il mistero della loggia perduta



Autore: Matteo Bortolotti
Editore: Felici Editore
Anno: 2012
Pag. 176


Bologna: è la notte che precede il giorno di san Giovanni Battista.

Un anziano maggiordomo è stato ucciso nello studio di un grande palazzo di cui è custode. … Sulla scena del crimine, una mappa autografata di Giovanni Pascoli e una traccia che porta dritti al tesoro della leggendaria Loggia dei morti.

Recensione di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata su www.thrillercafe.it

Matteo Bortolotti scrittore trentunenne bolognese, e Matteo Bortolotti scrittore trentunenne bolognese, investigatore e protagonista del suo romanzo Il mistero della loggia perduta. Insomma due Bortolotti in uno. Uno reale e uno di fiction che interagiscono fino al punto di creare l’uno il personaggio e l’altro lo scrittore. Schizofrenia? Speriamo proprio di no! E chi è il colpevole di tutto questo? Incredibile, è Loriano Macchiavelli. Sua è stata l’idea di suggerire a Bortolotti di diventare protagonista egli stesso dei propri romanzi. L’allievo cercava un consiglio, il maestro ha proposto questo, e lui l’ha messo in atto senza esitare.

Il problema, oltre all’evidente dissociazione, è che il Bortolotti del Romanzo veste male, troppo male. Malissimo. Giacca verde pisellino sopra una camicia hawaiana e, ancor più grave, il suo omonimo sembrerebbe che vada in giro vestito così.

Entrambi i Bortolotti vivono, scrivono, gigioneggiano in una Bologna contemporanea con le sue evidenti contraddizioni e con un passato misterioso e ingombrante che aleggia nell’aria o riemerge dalle viscere della città per donarci una storia gialla, colta, gustosa e bella proprio come Bologna. Una vera Bologna con le sue vie, porte, chiese e diavoletti. I suoi locali veri come il Cocoa o la pizzeria Scalinatella, e la gente reale, gli amici del vero Bortolotti, coinvolti anche loro con altri nomi (il Carne, lo Zio Morte, Godzilla) nelle indagini dello scrittore.

Una città protagonista di un giallo puro, vecchio stampo.

Io credo che Matteo Bortolotti scrittore, con il mistero della loggia perduta, abbia fatto non uno, ma ben due passi avanti nella nostra letteratura contemporanea. Innanzitutto ha rigenerato il giallo italiano donando alla sua classicità, ironia, mistero, azione, e un nuovo personaggio (se stesso) strambo e geniale come Scherlock Holmes, saputello e flemmatico come Ellery Queen, paranoico come Peirot (ognuno con le sue fissazioni, uno con i baffi l’altro con le camicie), e soprattutto impiccione come Jessica Fletcher. Insomma in una sola parola, Bortolotti scrittore ha inventato un personaggio “divertente”, anche se all’inizio è difficile entrare in empatia con tutto questo miscuglio e soprattutto c’è una sottile intolleranza alla sua aria saputella, a tratti irritante. Superato quest’empasse il Bortolotti personaggio è una macchietta molto fine e geniale al quale è impossibile non affezionarsi.

L’altro passo avanti consiste nell’uscire dallo stereotipo culturale in cui è caduto il nostro noir attuale, oramai intento ad inseguire i serial killer, smembratori di cadaveri viaggiando nei meandri di cervelli malati per iniziare ad indagare sui delitti. Per non parlare poi del genere d’importazione con i suoi miti e codici da decifrare, che Bortolotti ha ridicolizzato in commedia mescolandoli di reale normalità, fra improbabili inseguimenti che finiscono e nascono in pizzerie, o bar gustando una stomachevole bevanda lattementa al posto di un bourbon stravecchio nel bel mezzo di un intrigo internazionale.

Sotto l’aspetto tecnico, la storia è scritta molto bene. È sempre misurata, precisa e si fa leggere tutta d’un fiato. Gioca e mescola con sapienza, mistero esoterico e comicità ironica a tratti grottesca. Mette in evidenza un paziente lavoro preparatore di ricerca sulle logge massoniche, e soprattutto è un atto di amore dello scrittore a Bologna che da cupa, reale, e periferica nelle sue atmosfere descritte in Questo è il mio sangue, (romanzo di esordio nel 2005 di Bortolotti con Colorado Noir) si trasforma in dotta, misteriosa e gioviale.

Ma oramai il personaggio esiste, la città c’è e lo scrittore vive nel suo stesso personaggio; non posso quindi che aspettare le prossime storie di Matteo Bortolotti detective scanzonato e colto, arguto e irritante, simpatico, geniale… e sfortunato in amore.

La notte e l’amore. Due cose che da sempre vanno piuttosto d’accordo. La letteratura ci ha riempito di scene notturne, di teatri in cui la luce cala e simula il lucore appena percettibile delle candele. E ci sono balconi, finestre, innamorati che sospirano. Gente col nasone che parla di baci e di accarezzarsi l’anima a fior di labbra. Tranquilli, adesso arriva il morto. Godetevi il prologo, nel frattempo.
Dal libro “Il mistero della Loggia perduta” di Matteo Bortolotti.

recensione di Ivo Tiberio Ginevra