venerdì 23 settembre 2011

Nel cuore della notte






Autore: AA.VV
Editore: Del Vecchio
Anno: 2011



Rensione di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata su www.thrillercafe.it

L’opera nasce dalla volontà di Katharina Schmidt (traduttrice in tedesco d’alcuni autori italiani, fra i quali Nicolò Ammaniti) che ha riunito 9 scrittori con un unico tema: “La notte”, o meglio in un viaggio nel cuore della notte, che inizia alle 21.00 per terminare alle 06.00.

Un viaggio dal tramonto all’alba, dove ognuno dei narratori ha un’ora a disposizione per una storia rigorosamente collegata alla notte.

Nello specifico la raccolta comincia con Nicola Verde dalle 21.00 alle 22.00, per continuare in rigorosa sequenza con Gianmaria Testa, Bruno Morchio, Grazia Verasani, Andrea Ballerini, Lidia Ravera, Gianluca Morozzi, Sandra Petrignani e per finire dalle 05.00 alle 06.00 con Caterina Bonvicini.

Tutti scrittori diversi fra loro, con un solo unico progetto, narrare il tempo della notte scandito dalle ore. Ne viene fuori una piacevole raccolta dove ognuno di loro fornisce anche una sua libera interpretazione dello scorrere del tempo, perchè “…il tempo non appartiene a nessuno. Che il tempo è il tempo…e per governarlo ci vuole il padreterno.” (Nicola Verde) e ancora: “Alla fine, quel rubare il tempo, non poteva che risolversi in un niente, perché il tempo non si lascia ingannare dal tempo! Per quanto lo si stiracchi di minuto in minuto per non dare nell’occhio”. (Nicola Verde), oppure: “Soltanto le ore non muoiono mai. I giorni, i mesi, gli anni, i secoli, persino i millenni passano, si consumano, se ne vanno per sempre, inghiottiti dal tempo. Le ore no, le ore sono sempre le stesse. Navigano libere nel nulla…. Si dispongono diligenti in fila, prima una 1, poi una 2, una 3 e così via fino a una 24 e incominciano il loro lavoro. I giorni, i mesi, gli anni danno le direttive e se ne vanno, una volta scaduti. Le ore, invece, restano sempre.” (Gianmaria Testa) o per citare Bruno Morchio: “Il giorno sta scivolando via e porta con sé dieci anni trascorsi insieme. < Che dovrei fare? >, vorrebbe domandare. < Chiederti di aspettare, di prendere tempo? >. Lui che fin da bambino ha imparato che con il tempo non si gioca. Non possiamo né darlo né prenderlo, semplicemente non ci appartiene.”

I racconti si snodano nelle ore insieme alla vita degli uomini con le loro passioni, paure, riflessioni. Con il loro intreccio d’amore e morte, in un reticolo d’esistenze e dialoghi nel buio della notte, dove non ci sono più da indossare costumi o maschere dalla doppia personalità a protezione di se stessi.
Ore della notte vere, in quanto schiette, dove l’uomo non ha bisogno di prendersi in giro. Ore dove è costretto ad essere sincero almeno con se stesso. Dove il pensiero è reale.

Fra i nove racconti segnalo in particolar modo “Dalle 22.00 alle 23,00” di Gianmaria Testa per il felice e originale esperimento letterario, Gianluca Morozzi, “Se fossi Batman” per l’incredibile epilogo del racconto e “Quel che resta” di Bruno Morchio per l’introspezione psicologica dei personaggi in riflessione sulla crisi del proprio matrimonio. Da sottolineare anche “La chanson de Geneviève” di Grazia Verasani, col suo singolare poemetto in versi, e “Il pittore” di Caterina Bonvicini che narra di un amore complicato e impossibile fra una giovane studentessa e un anziano pittore.

Nel complesso si tratta di una raccolta monotematica, piacevole e snella, con all’interno qualche perla che la farà ricordare a lungo nella mente dei lettori.
Ivo Tiberio Ginevra

giovedì 8 settembre 2011

Cento per cento


Sasha Naspini
Perdisa Pop
Anno: 2011

Trama in sintesi:

Sono nato pugile, con la testa da pugile, il modo di camminare da pugile e tutto il resto. Al cento per cento. Non al settanta o al novantanove. Al cento per cento, signori miei. E uno così, in questo mondo di pugili al sessanta e all’ottanta per cento, fa baldoria, credetemi”. Così si presenta Dino Carrisi, immigrato italiano che ha iniziato con gli incontri clandestini per poi diventare due volte campione del mondo. Un grande boxeur che avrebbe continuato a vincere, se non fosse finito in carcere per l’omicidio della moglie. Da anni vive barricato in casa, malandato, scontroso, dedito al fumo e all’alcol. Oggi però ha deciso di concedere un’intervista in esclusiva. Ed ecco il documento integrale di quell’intervista, ecco che dalla sua voce affiora lo spettacolo di una vita non comune, dai primi incontri illegali alle luci sfavillanti della fama, dall’amore al rapporto con il suo allenatore, e poi gli incontri, i pugni, le sfide. Ad affiorare, però, sarà anche un’altra verità, una verità che arriva alla fine come un cazzotto ben preparato e assestato: il degno finale per un campione incapace di finire al tappeto.

Recensione di Ivo Tiberio Ginevra per thrillercafe.it

È la rabbia l’anima del romanzo. La sua essenza stessa.

Sei capitoli, come sei round. Dove all’inizio i due pugili si studiano e al sesto uno dei due è ko.

Sei capitoli. Sei round. Tra Dino Carrisi e Dean La Palma. Il primo all’angolo lo conosciamo tutti con i soprannomi di Piede di Porco, Cerino, Corsaro, Nebbia Rossa e altri non è che l’italoamericano due volte campione del mondo; il secondo è un giovane giornalista rampante che conduce un programma di successo per la televisione americana Gli occhi dell’anima.

Il combattimento si svolge nel Vermont, New Ingland; l’appartamento da dove dieci anni si è barricato Dino Carrisi dopo essersi ritirato dalla box. Dieci anni fuori dal mondo chiuso in quattro mura, senza donne, senza soldi, in compagnia solo del fumo, dell’alcool e della televisione sportiva che ancora lo tiene collegato al mondo.

Il match fin dalle prime battute è molto cruento, perché il giovane giornalista è determinato e soprattutto tenace nell’inseguire il suo scoop televisivo. Agisce con l’esperienza di un vecchio cronista e l’imprenditorialità di un rampante direttore di giornale, e facendo leva sui deboli meccanismi che hanno spinto il pugile ad uscire dal suo esilio volontario (all’apparenza semplici motivi economici), inizia a condurre la ripresa con decisione, ma sbaglia tutto, perché davanti a sè trova un pugile vero. Uno, come ama definirsi lui stesso, al cento per cento. E Carrisi è “nato pugile, con la testa da pugile, il modo di camminare da pugile e tutto il resto. Al cento per cento, non al settanta o al novantanove, al cento per cento, signori miei.”

Carrisi è uno che al cento per cento non ha solo combattuto sul ring, ma ha anche vissuto la sua stessa vita, dove tutto, le donne, l’alcool, il fumo, il linguaggio, è stato spinto fino all’eccesso, fino all’omicidio, e dove ogni sentimento, ogni azione, ogni tutto è estremo, così come l’amore, la rabbia, la vendetta, il silenzio.

Carrisi sa anche lasciarsi perdere al cento per cento, e al contempo sa anche uscire di scena come un vecchio pugile che ha combattuto nel quadrato senza risparmiare un colpo, e gli ultimi, li tira al giornalista, al pubblico, a noi. Vincendo da sconfitto l’ultimo round contro i veri avversari di sempre: “Se stesso e la vita.”

Sarebbe troppo facile recensire questo libro fornendo anticipazioni sulla trama, e soprattutto su quei meccanismi sociali e psicologici che hanno portato il protagonista a vivere all’estremo (solitudine, emigrazione, aspetti economici, media, eccetera). Se scrivessi questo toglierei il piacere della lettura e scadrei nello stereotipo recensivo, pertanto non lo farò. Voglio solo dire che Naspini, in questo suo breve romanzo di appena centodieci pagine, senza fronzoli, e con un linguaggio diretto ed essenziale, sotto la difficile forma narrativa dell’intervista (e lo sottolineo), è riuscito a descrivere magistralmente un personaggio del tutto inventato come il pugile Dino Carrisi, e a renderlo umano e credibile, fino all’inverosimile, e Dino è un soggetto letterario che ricorderemo per lungo tempo perché è un uomo arrabbiato. Perché la sua rabbia è descritta fin troppo bene, come un solco da percorrere ogni giorno per tutta la vita, e lo ricorderemo anche per il suo senso d’impotenza e abbandono che lo pervadono fuori dal ring, insieme alla sua mancanza assoluta della comprensione della vita, perché Carrisi non ha capito proprio niente della vita, l’ha solo vissuta al cento per cento, con arroganza, ignoranza, creduloneria, sbagliando e risbagliando.

Carrisi è un personaggio nato per la box, che ha vissuto per questo e che adesso, dopo le sciagure e con la vecchiaia, non riesce e non vuole andare al tappeto. Vive al cento per cento e vuole vincere anche la sua ultima sfida con il suo amato/odiato mondo dello spettacolo e proprio come un uomo di spettacolo rientrerà per congedarsi dalle scene mettendo a knockout il suo avversario di turno: il giornalista che lo sta intervistando. Una degna uscita di scena, forse l’ultima, ma non credo. Bravo Sacha.
Ivo Tiberio Ginevra


lunedì 5 settembre 2011

Intervista a Francesca Bertuzzi


di Ivo Tiberio Ginevra per http://www.thrillercafe.it/


Francesca Bertuzzi, all’improvviso fai irruzione nel panorama letterario con una forza deflagrante e inaspettata. Il tuo “Il carnefice” sta andando benissimo, ma tu chi sei? Fatti conoscere. Presentati ai lettori di Thriller Cafè.

Sì, può darsi che sia spuntata fuori un pochino dal nulla, non avevo mai provato a pubblicare racconti, o articoli, o altro che anticipasse il libro… Però sono anni che punto tutto sulla scrittura. Certo questo gli altri non lo sanno e mi diverto molto a immaginare i grandi nomi in classifica girarsi e vedermi nella colonnina con loro chiedendosi con aria basita “E questa chi è?”. Per il resto sono una grandissima amate del noir, thriller, horror… e tutto ciò che fa mozzare il fiato in gola.

Com’è nato Il carnefice?
È nato in una torrida estate passata in Svizzera a leggere noir in un rifugio in mezzo ai boschi, e una mattina mi sono svegliata con l’idea di base del libro… poi, mano a mano che andavo avanti a scrivere la storia, i personaggi hanno preso sempre più corpo, in particolare quello di Danny, la protagonista. Insieme a lei è venuta fuori l’idea di caratterizzarla con lo spirito di una ragazza pronta a tutto pur di non essere una vittima. Intorno a questa colonna vertebrale si è sviluppato il resto della storia.

In quanto tempo hai scritto il libro?

Al libro ho pensato a lungo prima di scriverlo, soprattutto perché mi ci volevo dedicare totalmente e quindi era sorto il problema di avere a disposizione un periodo da dedicare unicamente alla scrittura. Ho risparmiato per un paio d’anni, poi, una volta avuti i soldi da parte, potevo permettermi due mesi. E in quei due mesi l’ho scritto.

Da dove hai preso l’ispirazione e perché hai ambientato la storia in un piccolo paese della provincia italiana?

L’ispirazione mi è venuta da un certo genere di letteratura e di cinema che mi appassiona e diverte… e negli anni, più sviluppavo questa passione, più le descrizioni di un certo tipo d’America, il Texas in particolare, mi ricordavano i luoghi dai quale proviene la mia famiglia. San Buono è il paese natale dei miei nonni, dove ho passato le estati della mia infanzia, e le polveri secche, i fucili da caccia, la schiettezza delle persone mi sono sembrati elementi perfetti per accostare l’Italia al Texas. Poi mi è piaciuto molto dare a Danny i connotati di quello che ho conosciuto dello spirito abruzzese: fierezza, schiettezza e testardaggine.

Il tuo personaggio principale è una donna africana, giovane, bella e concreta. Come mai hai scelto una protagonista di colore?

Da sempre, uno dei temi che mi crea più conflitto è quello dell’infanzia negata, e mi è sembrato che l’Africa centrale rappresentasse bene questo genere di sopruso… Luoghi in cui l’aspettativa di vita è sui 33 anni e l’iniziazione dei bambini ai gruppi dei guerriglieri è all’ordine del giorno. Danny doveva essere una specie di rivincita contro un certo tipo di ingiustizia.

A quale dei personaggi del libro sei più affezionata? E c’è qualcuno in particolare che ti somiglia?

Danny è la protagonista e non può che essere lei la mia preferita. È anche quella a cui ho dato di più di mio, condivido con lei anche il cane, Huan infatti è il mio amatissimo molosso. Poi in ogni personaggio c’è qualcosa che mi appartiene o che appartiene ai miei amici più cari…

Cosa ti è piaciuto di più quando hai riletto il romanzo?

Il capitolo in cui scappano dall’Africa è quello che preferisco.

Ho visto che alla fine del libro hai una lista di persone che ringrazi sentitamente. Qual è stato il miglior consiglio che hai avuto mentre scrivevi il romanzo?

Bè, durante la stesura della prima bozza del romanzo ho avuto accanto Marcello Bernardi, che leggeva capitolo dopo capitolo, e con cui parlavo spesso degli sviluppi della trama. Mi ha dato talmente tanti consigli che non saprei dire quale sia il migliore.

Continuo l’intervista facendoti le stesse domande che ci sono nella quarta di copertina del Il Carnefice… allora: Quanto pagheresti per avere una risposta alle tue domande più inconfessabili?

Le domande che ci sono sul retro del libro me le ponevo anch’io mentre scrivevo il romanzo… Mi piace pensare che sarei in grado di pagare il prezzo che richiede la verità.

Hai qualche fantasma che ti tormenta?

C’è qualcuno che non ne ha?

Cosa saresti disposta a fare per salvare chi ami?

E anche qui mi piace pensare che se ce ne dovesse essere bisogno sarei disposta a tutto.

Nel libro ci regali una breve storia, mi riferisco a quella di Buon Natale e un episodio di vita nostalgica e familiare (le due sorelle che giocano nella tinozza) che indubbiamente mostrano la tua vena di narratore intimista, con uno scavo psicologico considerevole a tutto beneficio della conoscenza dei personaggi e nella trama stessa. Hai mai pensato di scrivere un romanzo intimista? Io te lo consiglio.

Io sono un’appassionata di genere e mi sono divertita molto a scrivere Il Carnefice, però credo che se mi dovesse capitare di pensare a una storia che necessiti di essere declinata in uno stile più intimista proverei…

Scriverai altri Thriller?

Il prossimo, l’ho già in mente… Un’altra ragazza da cacciare in una brutta situazione.

Cosa c’è nel futuro di Francesca Bertuzzi?

Questo non lo so, però so di certo che cercherò di far diventare la scrittura il mio unico lavoro.

Fatti una domanda e datti una risposa.

Sei felice? Mai stata così felice!!!!!

intervista a Francesca Bertuzzi di Ivo Tiberio Ginevra per http://www.thrillercafe.it/

Intervista a Maria Tronca


Intervista di Ivo Tiberio Ginevra per www.thrillercafe.it

Prima di fare quest’intervista ho cercato notizie di te su internet. Volevo sapere chi mi sarei trovato davanti per impostare meglio il colloquio. Mamma mia quello che è venuto fuori: direttrice di prodotti editoriali di successo per il web e la telefonia, collaboratrice in famose riviste femminili, curatrice di una collana di letteratura erotica con più di 150.000 copie vendute, fondatrice del primo vero social network dedicato agli animali. Vivi tra Palermo e Milano. Appena puoi scappi per l’India e quasi quasi ti si deve andare a riprendere, Insomma Maria Tronca: Chi sei?

Sono una persona che ha imparato che nella vita è un dovere, oltre che un diritto, usare tutti i talenti che ci sono stati dati. Se non lo facciamo, ci priviamo della gioia e della soddisfazione che ne ricaveremo. E facciamo un torto anche agli altri, perché non ne godranno mai neanche loro. Il mio maestro indiano che si chiama Sathya, la mia guida spirituale, mi ha detto che il mio compito su questa terra è quello di dare emozioni alle gente. Ho sempre cercato di farlo in tutti i modi che conosco. E continuo in questo percorso. Ah, una cosa ti è sfuggita però: la cucina. Mi dicono che sia un'ottima cuoca, anche questo è un dono, ma fin'ora lo conoscono solo i miei familiari, parenti e amici. Ho pensato che è un ulteriore modo di dare emozioni e sto tentando di fare la cuoca a domicilio. Nel menù, per chi lo desiderasse, è compreso il racconto di una storia e la lettura dei fondi di caffè.

Allora a questo punto la domanda è d’obbligo: Nel tuo romanzo c’è la splendida idea della reincarnazione di uno dei due protagonisti. Era da un bel po’ di tempo che questa pratica non era riproposta, poi in chiave humour meno che mai. Siccome il tema è un po’ insolito, ci spieghi qual è il tuo rapporto con la reincarnazione?

Ci credo. Penso che siamo il frutto di tante e tante e tante vite passate, e che portiamo in noi memoria di tutte. Basta lasciarle venire fuori. Calogero ha appena iniziato un percorso. Spero.

In cosa vorresti reincarnarti e perchè?

Che bella domanda. In me stessa più saggia, meno emotiva e impulsiva. In me stessa che è riuscita a incanalare l'energia del vulcano che ha dentro in creatività e positività. In una persona che fa meno abbili, si può dire? Magari lo traduci tu. E che prende tutto un po' più alla leggera, perché credo che sia l'unico modo che permetta di avere una visione lucida della vita e che alla fine riesca a farti risolvere i problemi. Se ti lasci prendere dalla rabbia, dalla “passione”, non valuti bene e non vieni a capo di nulla anzi ti complichi la vita. Perché vorrei reincarnarmi in una Maria migliore? Perché alla fine della fiera mi sono affezionata a questo Cavallo Pazzo, mi piaccio e mi voglio bene.

Rosanero è un romanzo davvero forte, di grande impatto emotivo, originale, e a tratti anche divertente, quindi a te i miei migliori complimenti, ma spiegaci: come ti è venuta in mente una storia così singolare?

Non lo so. Nel senso che ero in bagno, il mio pensatoio preferito, e ho pensato che sarebbe stato carino scrivere di un mafioso morto ammazzato la cui anima finiva nel corpo di una bambina di nove anni. E ho cominciato. Man mano si è sviluppato l'intreccio, quasi da solo. D'altronde sono i mie personaggi che inventano le storie e poi me le dettano. Io le trascrivo fedelmente. Certo ogni tanto litighiamo perché non siamo d'accordo su tutto. Ma di solito la collaborazione è ottima.

Nel romanzo mescoli sapientemente il tema dell’innocenza dei bambini alla crudeltà mafiosa, ambientando tutto in una Palermo “problematica e magica”. Traspare un profondo amore per questa città, le sue tradizioni, la gente ed al contempo un forte disprezzo per la criminalità organizzata. Cosa rimpiangi della tua Palermo e come vorresti che fosse?

Rimpiango l'aria che respiro ogni volta che torno. Aria che vuol dire profumi, suoni, sensazioni ma anche colori e atmosfere per me magiche. Il mare di Mondello, i cornetti dell'Antico Chiosco, le ciambelle di Scimone, la Taverna della Za Pina alla Vucciria. Il calore della gente, della brava gente. Odio invece l'arroganza di tutti quelli che credono di potere continuare a usare, violentare, torturare Palermo, come hanno fatto fin'ora, indipendentemente dal ceto sociale. Anzi, posso capire coloro che lo fanno per ignoranza, ma non riesco proprio a perdonare quelli che sono ai vertici della pubblica amministrazione e lo fanno scientemente, quasi orgogliosi di uscirne come sempre impuniti. Vorrei che la mia bella città fosse più amata e coccolata e quindi pulita, ospitale, curata. Nel corpo e nell'anima. Vorrei che fosse protetta da tutti coloro che ci vivono. Vorrei un sogno.

Cosa pensi di Calogero Mancuso, l’eroe nero del tuo Rosanero?

Lo adoro. Perché lui si redime, lui si pente, lui ce la fa. E poi è un simpatico, un gran figo, e nonostante sia ignorante è intelligente. Il suo lato luminoso riesce a venir fuori e ad avere il sopravvento sul lato oscuro.

Cosa ami di più del tuo romanzo?

I dialoghi. Cerco sempre di scriverli come se ci fossero davvero due persone davanti a me che stanno parlando. A volte li recito ad alta voce, per vedere che effetto mi fanno, per verificare se siano credibili o no. I miei familiari sono abituati a sentirmi parlare da sola ad alta voce.

Quanto tempo ti è servito per scrivere Rosanero?

Non me lo ricordo ma ti posso dire che tornata dal secondo viaggio in India ho scritto tre romanzi in un anno e mezzo, e Rosanero era il primo. Il secondo esce il 13 settembre e si chiama L'amante delle Sedie volanti.

La fine del libro lascia intuire che ci sarà un seguito. Forse un’altra reincarnazione. Puoi anticiparci qualcosa?

Solo un nome, Rais.

Ho visto che nelle ultime pagine ringrazi Venezia, Miguel Bosè e Carla Bruni. Mi spieghi? Non riesco a metterli in correlazione?

Venezia perché Rosanero l'ho scritto lì. Ci ho abitato cinque anni e mezzo e dopo Palermo è la città che amo di più al mondo. Non è una città, è un sogno. Carla Bruni e Miguel Bosé perché fanno parte della musica che ascoltavo, e ascolto, mentre scrivo. Deve essere molto leggera, poco impegnativa, deve farmi compagnia ma non pretendete troppa attenzione altrimenti mi distrae. La musica, intendo. Loro sono perfetti, insieme a tanti altri, comprese le colonne sonore dei film di Bollywood.

Fatti una domanda e datti una risposa.

Cosa vuoi fare da grande Maria?
Voglio scrivere tutte le storie che ho in testa, dar vita alla moltitudine di personaggi che affollano il mio cervellino che non si ferma mai. Voglio cucinare per la gente e raccontare le mie favole che alla fine sono molto più vere di quanto appaiano. Voglio fare quello che so fare meglio: dare emozioni.

intervista di Ivo Tiberio Ginevra

Gioco Sporco


Gianluca Ferraris
Dalai editore

Due clan, uno campano e uno calabrese, combattono la loro battaglia quotidiana, che è al tempo stesso lotta per il potere e per la sopravvivenza.

Sullo sfondo, un’Italia dove gioco d’azzardo, scommesse, ippica e slot machine sono diventati il crocevia di un business da miliardi di euro. Tra il lassismo di uno Stato biscazziere per convenienza e il sogno disperato di milioni di persone che non hanno altro in cui credere, si apre una zona grigia dove proliferano guadagni illeciti, consenso sociale e omertà, nel Sud come a Milano.

Gioco sporco è un romanzo verità che attinge ai casi di cronaca degli ultimi anni. Un viaggio brutale e incalzante nel mondo della criminalità organizzata. Un’analisi senza sconti su cui riflettere per comprendere un fenomeno tutto italiano.

«Dentro il capannone che brucia, l’ex fagotto umano umido di piscio e vomito si è trasformato in un teschio adagiato su un mucchio di ossa annerite. Pare una bandiera dei pirati, col sorriso sghembo e il naso spaccato. E una puzza di merda essiccata da far schifo. Non è più il Ragioniere. Non è più Giovanni. È solo un infame che ha sgarrato. Pochi minuti e lo sapranno tutti. Le voci corrono, da queste parti. Ed è così che si muore, da queste parti. Bruciati vivi in un capannone, nell’ultimo buco di culo di paese di quello che chiamano Mezzogiorno. Ma mezzogiorno di cosa?»

Recensione di Ivo Tiberio Ginevra per www.thrillercafe.it

Gioco Sporco si basa su una storia vera, realmente accaduta, e purtroppo è simile a tante altre di criminalità organizzata vecchia e nuova. Oltre ai nomi, i luoghi e qualche altra piccola cosa servente la narrazione, d’inventato, e ribadisco “purtroppo” c’è ben poco, perché ci troviamo dinanzi a un romanzo-verità, scritto da un giornalista che da anni si occupa di cronaca ed economia e che pertanto ha meglio potuto osservare e studiare l’evoluzione della criminalità organizzata.

Il romanzo, infatti, narra di due famiglie meridionali la Laurino di stampo camorristico e la Mazzaferro tipicamente ‘granghetista che stringono fra loro un’alleanza criminale per meglio investire e far fruttare i loro capitali sporchi.

Entrambi i clan sono in evoluzione continua, ma non mollano mai quelle che da sempre sono state le basi del loro proliferare delittuoso, e mi riferisco al pizzo, all’usura e all’estorsione. E di questo si muore nella realtà come nei romanzi: infatti Ferraris nel suo Gioco sporco, fa assassinare un povero cristo calabrese che non vuole cedere al ricatto della ‘ndrina e che soprattutto le ha mancato di rispetto. Il rispetto, quello che si riserva agli uomini d’onore e alle loro famiglie. Il rispetto, altro minimo comune denominatore della potenza malavitosa.

Ma oltre ai tradizionali canoni illeciti di ogni famiglia criminale, ai quali dobbiamo aggiungere il traffico di droga, dalla lettura del romanzo emerge l’esigenza di pulire il denaro sporco e soprattutto d’investirlo in nuove e lucrose attività. Queste esigenze hanno portato le criminalità organizzate ad esplorare nuovi mercati, a stringere nuove alleanze, ad investire i loro capitali in traffici assai redditizi e soprattutto, alla capacità d’infiltrazione nei territori del nord Italia con le relative capacità logistiche. L’ultima nuova frontiera, frutto di quel fiuto eccezionale per i nuovi affari illeciti che da sempre hanno avuto le mafie, è quella del gioco d’azzardo, da vedere come naturale evoluzione di quella già consolidata nelle scommesse ippiche e calcistiche della vecchia gestione.

Ferraris ci dipinge perfettamente i clan dei Laurino e Mazzaferro, facendo risaltare il sacro vincolo della famiglia e l’ancoraggio alle antiche tradizioni, soprattutto nella calabrese, nonché l’attaccamento ai vecchi e nuovi affari.

Inquietante è la parte del libro narrante la penetrazione criminale nei settori del gioco d’azzardo (scommesse ippiche, sale bingo, slot machine, videopoker, scommesse su internet, gratta e vinci tutti regolarmente truccati) e del racket del totonero con i suoi risultati combinati. Non scordiamoci che è di solo qualche mese fa la notizia del figlio di un boss della camorra fotografato a bordo campo dello stadio di Napoli e che da poco si è appena conclusa l’inchiesta della Federcalcio sugli illeciti calcistici che ha visto coinvolti calciatori del giro della nazionale e squadre di serie B e C.

In questo mondo moderno e globalizzato Ferraris ci fa assistere all’evoluzione delle nuove leve criminali oramai esperte d’internet ed economia, in grado di rischiare capitali in investimenti “sicuri” con l’aiuto d’altri clan criminali e la collaborazione di quelli altrettanto pericolosi dell’est europeo. Sinergie avide, senza scrupoli e quanto mai attuali. Sconvolgenti, brutali e tutte uguali fra loro, tese solo al profitto a qualunque costo e soprattutto a quello di non rimetterci.

Questi capitali, frutto delle nuove attività non ostacolate dal nostro “stato biscazziere”, una volta sommati a quelli tradizionali derivanti dall’estorsione, usura, droga, mettono in risalto un’economia totale e redditizia al massimo grado. Sapere poi che tutti questi denari provengono da gente comune oramai rassegnata al proprio destino e che la corruzione o l’indifferenza delle autorità (sindaci in particolare) consente alle mafie di infiltrarsi nei territori del nord con maggiore pressione, ecco, tutto questo porta allo scoraggiante convincimento che lasceremo un pessimo destino alle nostre future generazioni.

Da un punto di vista letterario il romanzo vive di un eccellente e marcato incipit, qualche episodio di buona letteratura e soprattutto di un’ottima caratterizzazione psicologica dei personaggi, ma rimane sempre ancorato ai canoni del romanzo-inchiesta, nel solco di quelli di Saviano, Nisini, Catozzella. Pertanto, anche se lo scrittore che di professione fa il giornalista, avvisa che non ci troviamo a leggere un saggio-inchiesta, ma un romanzo-verità, a mio avviso il taglio resta sempre di natura cronistica. Nel complesso si tratta di una lettura consigliabile, gradevole e decisamente attuale.

Ivo Tiberio Ginevra

Delitti esemplari (1957)

MAX AUB
SELLERIO EDITORE

recensione di Ivo Tiberio Ginevra per www.thrillercafe.it


Leggendo un libro trovo una citazione di “Delitti esemplari” di Max Aub.

M’incuriosisco e dico: “Max, il nome è il massimo che ci possa essere, ma è piccolo. Solo 3 lettere.” E poi “Aub: un nome che è un enigma, un mistero. E poi è pure corto. E breve è anche il suo libro, Delitti esemplari. Solo 61 pagine delle quali 20 di presentazione. Quindi in tutto 41 pagine edite da Sellerio”. Tutto mi suona come il massimo del mistero e al contempo il minimo dello stesso.

Per un appassionato del genere, questi elementi sono un’esca invidiabile. Abbocco.

Risultato: letto 3 volte in una sola giornata e subito dopo partenza per una forsennata ricerca sul web di Max Aub e tutto quanto riguarda le sue opere.


MAX AUB

Padre tedesco, madre francese, nasce a Parigi nel 1914, vive in Spagna e poi in Messico. Si sentirà spagnolo tutta la vita.

Vita burrascosa. Forte ascesa sociale da giornalista fino a diventare addetto culturale presso l’Ambasciata spagnola a Parigi. Nel ’39 è accusato di essere comunista e rinchiuso in un campo di concentramento. Evade tre anni dopo e ripara in Messico, dove muore nel 1972.

La sua produzione letteraria è vastissima e abbraccia tutti i generi. Max Aub è, infatti narratore, drammaturgo, critico, poeta, giornalista, cineasta.

Scrive opere d’intenso impegno politico fra le quali Il labirinto magico e non abbandona mai la sua vena d’autore satirico, eccentrico, umoristico.

Artista nell’arte della mistificazione con anarchia, ironia, e puro divertimento riesce a farsi beffe della società in cui vive. Scrive La vera storia della morte del generale Franco, in piena epopea franchista, inventa di sana pianta uno spagnolo pittore cubista, e lo fa diventare famoso interessando fior di critici per valutare le pitture e i disegni di questo mai esistito pittore e defunto in circostanze misteriose. S’inventa addirittura un epistolario con personaggi famosi e ne scrive la sua biografia, interrompendo a malincuore la burla solo dopo due anni, per riproporla nel 1963 simulando una Antologia di poeti e scrittori stranieri, anch’essi mai esistiti e tradotti in spagnolo.

Max Aub fu un autentico e raffinato scrittore d’avanguardia, un serissimo mistificatore che confuse la critica, ma non inganno mai divertendoli, i suoi lettori. Egli stesso confessa: “A me non preme la critica, preme di più la gente, il prossimo” (Lucrezia Panunzio Cipriani).

Purtroppo questo grande artista spagnolo è poco conosciuto in Italia perché non tradotto e quindi dobbiamo accontentarci di quel poco che c’è: fra questo i Delitti Esemplari.

DELITTI ESEMPLARI

Nascono nel 1957 e solo nel 1981 sono pubblicati in Italia dalla casa editrice Sellerio.

I Delitti esemplari è l’opera di un vero genio del secolo scorso. Nella sostanza si tratta di 82 confessioni d’altrettanti ipotetici delitti e “Sono quelli che quotidianamente, in intenzione, si commettono, e che Aub, trasportando la realtà nella surrealtà, da per consumati: con lampeggiante fantasia, con davvero esemplare rapidità e leggerezza. Le antipatie, le insofferenze, gli insopportabili incontri della giornata di ognuno sfogati e liberati in delitti senza castigo”.

Quanti di noi farebbero degli omicidi che nelle stesse intenzioni sono commessi durante il corso della giornata. Quanti! Pensateci. Iniziate a sommarli e vedrete quanti sono. Fate come ho fatto io all’indomani della lettura del libro.

Il primo che nelle intenzioni ho fatto fuori è stato il condomino del piano di sopra che ancora, dopo le innumerevoli volte che gli è stato detto, continua a fumare nell’ascensore, e poi a seguire, il portiere, che non è mai in guardiola per farsi il secondo lavoro (e io pago), e poi lo stronzo che ha posteggiato in doppia fila impedendomi di uscire dal posteggio con la macchina, per finire all’omicidio della fornaia che mi ha venduto il pane duro, dopo tanti anni che sono suo cliente. Ecco un semplice esempio di cosa ha fatto Max Aub nel suo Delitti esemplari. Ha dato sfogo a quella parte cinica e umana che sta dentro ognuno di noi.

Sono 82 omicidi che potremmo definire normali.

Sono di qualunque nazionalità, età, sesso, condizione sociale.

Sono omicidi universali, senza tempo. Impuniti, o meglio autoassolti.

Nessun moralismo, solo il piacere di abbandonarsi alla soppressione fisica di chi si detesta, e senza che abbia fatto qualcosa di particolare.

Nessuna follia omicida, nessuna pietà, solo il piacere di sbarazzarsi dell’altro, dove tutto assurge la veste della possibilità, pur restando impossibile, o meglio, dove tutto potrebbe essere drammaticamente possibile. Dove la violenza è giustizia, nella mente di chi si crede nel giusto, nella mente dell’omicida doloso che in generale agisce obbedendo ad un raptus improvviso, magari per uno stupido motivo.

I moventi sono i più insoliti e al contempo i più normali possibili: Odio, rancore, antipatia, noia, ripicca, semplici opinioni in contrasto che sconfinano nel cinismo e nell’insopportabilità assoluta del prossimo; nella sua sofferenza e disagio sociale, il tutto vissuto come un potente atto liberatorio, senza alcun pentimento.

I delitti sono pieni di una verve surreale, ricchi d’umor nero, anticamera della gratuita violenza di un film come Arancia Meccanica di S. Kubrik o dell’ironica violenza come Pulp fiction di Quentin Tarantino.

Aub è una lettura che fa sorridere amaro, che fa riflettere come un’improvvisa sferzata, che fissa i pensieri degli esseri umani per quelli che sono, e che abortiscono nel mondo reale, anche se ultimamente, nella vita d’ogni giorno, fantasia e realtà, dramma e follia sono sempre più presenti in ognuno di noi. Nei nostri affetti, nelle nostre cose, nel nostro mondo di mediocrità.

Ivo Tiberio Ginevra

Navigando in internet ho trovato su Youtube le immagini del “Primo premio festival internazionale cinema giovani” di Torino (1988) dove buona parte dei delitti esemplari è recitata da strepitosi attori come Duilio Del Prete, Renato Scarpa, Marco Zannoni, Pina Cei, Luca Zingaretti e c’è persino il sommo Andrea Camilleri, che recita la seguente confessione di Aub: La squartai dal basso in alto, come una pecora, perché guardava indifferente il soffitto mentre faceva all'amore.