martedì 11 settembre 2012

Rosso Italiano

Recensione di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata su www.thrillercafe.it

Con questa recensione voglio principalmente esprimere il mio disappunto a proposito di libri messi anzitempo fuori catalogo, per sensibilizzare i lettori e magari qualche editore a voler leggere, cercare, o ripubblicare delle ottime opere di scrittori più o meno conosciuti, che altrimenti sarebbero dimenticate.


Oggi inizio con Rosso Italiano di Massimo Rainer, edito da Barbera nel 2007 e già fuori catalogo.


Autore: Massimo Rainer

Editore: Barbera Editore

Anno: 2007

Grave errore, la non ripubblicazione, perché Rosso italiano nel suo genere, è una perla squisitamente italiana che se fosse stata ben seguita e curata, avrebbe potuto dare maggior lustro al suo autore, e soprattutto creato o stimolato nuovi scrittori a percorrere il solco tracciato da Rainer.

Quindi onore e merito alla Barbera Editore per aver coraggiosamente pubblicato e, a suo tempo intuito, che Rosso Italiano è un grande romanzo, ma permettetemi anche una doverosa tirata d’orecchi per averlo messo fuori catalogo solo dopo 5 anni, togliendo agli amanti del genere l’opportunità di godere di un piccolo gioiello esclusivamente italiano, oggi per fortuna elevato a valore di cult. Se poi penso che lo stesso editore all’epoca della pubblicazione lo aveva definito come “il libro più cattivo dell’anno”, allora m’incazzo davvero.

Polemiche a parte (l’ho comprato fortunosamente su e-bay) parliamo del romanzo, premettendo che Rosso italiano, così come lo definisce il suo autore è un libro pulp, anzi, estremamente pulp.

La storia si svolge tra Milano, Tokyo, Hong Kong, Roma, Genova e La Plaz con la curiosa caratteristica dell’indicazione all’inizio d’ogni paragrafo, della città, del giorno (senza anno – che gli conferisce un’originalità e confonde ad arte il lettore), dell’ora e dei gradi centigradi. Spazieremo, infatti, dai -5 gradi centigradi ai +45 sempre della capitale lombarda. (Mooolto originale, così come direbbe lo scrittore).

Ed è proprio a Milano che la Dea Pagana uccide, sevizia, e soprattutto fa scempio di magistrati e poliziotti. Ad indagare due sbirri totalmente agli antipodi su tutto: il commissario Vallesi e l’ispettore Annibale. Ma la trama, già intrecciata di suo, continua ad infittirsi perché sempre a Milano sbarcano tre esponenti della Yakuza alla ricerca della giovane Aska, e pur di averla sono disposti a tutto.

Fra giochi oscuri d’ignoti uomini di potere e persone comuni che al momento opportuno tirano fuori doti eccezionali, bizzarre e pulp, la storia procede verso un incredibile finale a sorpresa che chiude il romanzo e lascia un portone aperto ad un eventuale seguito. Non posso aggiungere altro per non togliere il piacere al lettore di godersi una lettura ricca di colpi di scena, nell’attesa che tutti i tasselli del mosaico vanno ognuno al proprio posto.

Lo stile di Massimo Rainer è indubbiamente riconoscibile fra centinaia di scrittori. Narrazione asciutta senza fronzoli o retorica. Dura fino ai limiti dello splatter, ma divertente e soprattutto puro pulp. Ogni personaggio è credibile e caricatura al tempo stesso. È godibile perché è buono, ed è altrettanto godibile perché cattivo, fino al punto di piantare un bisturi nella gola di un amico.

Ogni personaggio è normale nella sua vita e nella sua crudeltà. È tenero e violento. Affettuoso e criminale. In fin dei conti, nulla di nuovo, ma se è così allora la bravura di Massimo Rainer dove sta? Semplice, nel non far diventare tutto questo una gran minchiata, o se preferite, volgare spazzatura.

Rainer è un equilibrista estremo.

Nel suo romanzo a passo deciso procede con un sottile umorismo nero, violento e patetico all’interno di situazioni paradossali che a voler ben vedere, di paradossale non hanno nulla, una volta compresi a pieno i personaggi e le situazioni, quindi alla fine di un’assurda suspence lo scrittore ti regala una piacevole prova letteraria senza alcun freno inibitorio.

Altra ottima cosa di Massimo Rainer, oltre a saper gestire la suspence e ad imbastire un’ottima storia, è la caratterizzazione sia dei protagonisti che delle comparse. Semplicemente perfetta. Nulla da dire, da aggiungere o suggerire. Uno dei protagonisti di Rosso Italiano, il commissario Vallesi, è il prototipo ideale per un film di Q. Tarantino. Entra in scena al momento giusto creando il dubbio di avere a che fare con un criminale, perché è cattivo, violento, intransigente, preconcettato e soprattutto se ne sbatte delle regole, ma sa fare il suo mestiere. Uno sbirro che fra segreti e debolezze ha un cuore davvero pulp. Anche dei personaggi minori come il Signor Okabe o Toshiro Yamamoto, così ben caratterizzati con solo poche parole o gesti, meriterebbero l’attenzione di un grande attore come T. Kitano. Fatemi sognare, ma Rosso italiano lo vedo volentieri come un bel film.

Trascrivo volentieri un esempio di scrittura di Massimo Rainer. Riguarda la descrizione del dottor Renoldi. Personaggio minore, chirurgo plastico con studio nel cuore di Milano.

“Bene, grazie … e Valeria?”

“Valeria? Valeria chi…? Valeria… ah… già… Valeria.”

Ricordarla deve essere stato uno sforzo titanico, a giudicare dalla sberla in fronte che si tira.

“Scopata modesta, noiosamente mediocre. L’ho lasciata un paio di mesi fa… sembrava che a succhiarmelo mi facesse un favore! Non si rendeva conto della fortuna che aveva in bocca”.

Risata sguaiata, da osteria verso le due di notte.

Ride solo lui, come al solito. Renoldi è così. Un grizzly con mani da pianista.

Due arti d’oro, in grado di trasformare una tazza del cesso in un’indossatrice, con un rispetto per il prossimo sotto il minimo sindacale.

Una capacità miracolosa di regalare illusioni di felicità con una sensibilità da rottweiler a una bisca clandestina.

Un solo valore: l’amicizia.

Se non è pulp questo!

È impossibile anche non accorgersi dei riferimenti garbati o delle citazioni raffinate che Rainer fa ai miti del cinema, della musica o della letteratura solleticandone con garbo il ricordo e la ricerca. Nel perfetto gioco dei contrari convivono fra loro i Deep Purple e Antonello Venditti, oppure Jimi Hendrick e Peppino di Capri, solo per citarne alcuni nella musica, ma abbiamo anche un cammeo dedicato al Sommo Andrea Camilleri nel tipico linguaggio Catarelliano (il Maresciallo Cavallo).

E poi ci sono tante cose del tutto normali descritte con maestria. Mi riferisco alla “tragica” esperienza di chi ha dovuto sostenere gli esami d’abilitazione alla professione d’avvocato, che Rainer ancora oggi mi rievoca, con le sue di notti insonni, quello studio continuato ad oltranza e quella fottuta paura delle domande di esame. Per non parlare delle debolezze o impreparazioni di forze dell’ordine e magistratura che non esistono solo nelle finzioni e che auguro al mondo intero di non toccare mai con mano. Tutto questo è narrato in modo eccellente e preciso ed è di sicuro fra i motivi che hanno obbligato lo scrittore, avvocato penalista del foro di Milano, a dover usare uno pseudonimo: Massimo Rainer per l’appunto.

Per finire, un’ultima cosa. In Rosso Italiano, non c’è alcun messaggio moralistico, retorico, o saccente. Non c’è proprio nessun messaggio. Manca! È semplicemente un Pulp, un ottimo e vero Pulp.

I miei complimenti al libro di Massimo Rainer ed il mio disappunto per averlo messo fuori catalogo da parte della Barbera Editore.

Credetemi, per quanto sbagliato sia, ci si affeziona veramente ai personaggi di Rainer. Ti restano dentro.

Ah, dimenticavo. La copertina è incantevole, ma questo lo vedete da voi.

protesta di Ivo Tiberio Ginevra - pubblicata su www.fhrillercafe.it