venerdì 22 febbraio 2013

The hot rock




DONALD E. WESTLAKE
Edizioni Pendragon
Anno 2006
Pag. 200

Articolo di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicato su thrillerpages.blogspot.it

AVVERTENZE

Un giorno un vecchio amico m’incontrò alla cassa della libreria con un libro di Westlake in mano. Dopo i primi convenevoli iniziò a parlarmi dell’autore americano che avevo appena acquistato come se fossi un suo ammiratore ed era felice di poter parlare finalmente con qualcuno che lo stimava, perché “Westlake in Italia è poco tradotto”….”perchè di lui in giro si trova poco e niente”…”dobbiamo fare un club per farlo conoscere”. Insomma era un vero estimatore che mi dava pacche sulla spalla contento come un bambino parlando del suo beniamino. All’inizio restai frastornato. Pensai pure di filargliela perché non volevo deluderlo, ma sull’argomento era anche troppo preparato. Provai ad uscirmene spostando la conversazione su altri autori, però anche questo fu impossibile. Quando poi iniziò ad attaccarmi con delle domande specifiche, non mi restò altro che confessare l’amara verità: “Io non ho mai letto nulla di Westlake”. In effetti avevo comprato quel libro perché la copertina era accattivante e la quarta mi aveva intrigato. “Poca cosa” disse congedandomi. “Mi cercherai a casa per farti prestare tutto quello che ho di Donald” disse proprio così: “Donald” perché: “Ricorda! Lui è peggio di una droga se ti piace un suo libro non potrai più farne a meno. Devi leggerli tutti”.
Per strada rimasticavo questa frase e me la dissi anche quando iniziai la lettura.

Il libro lo divorai in poco tempo. Autore veramente notevole, scrittura eccellente. Un mondo nuovo! Capii subito che non avrei potuto più far a meno di Westlake. Dovevo spararmi subito una seconda dose. Cercai su Wikipedia informazioni sullo scrittore e (e qua il motivo dell’avvertenza introduttiva) e scoprii che questo mostro aveva pubblicato quasi un centinaio di romanzi. Dopo lo sconforto iniziale non sapevo più se gioire o incazzarmi come una bestia. Se iniziare subito un programma di disintossicazione o perdermi nei fumi della droga targata “Donald” Alla fine scelsi la seconda soluzione iniziando ad acquistare tutto quello che mi capitava, perché Westlake, purtroppo o per fortuna è davvero una droga.

Fatte queste doverose AVVERTENZE e ripetendo la frase che se ne leggi uno poi devi leggerli tutti, da esaltato scrivo quattro indegne righe su uno dei suoi capolavori: The hot rock (la pietra che scotta).

The hot rock (la pietra che scotta).

LA TRAMA E RECENSIONE

The hot rock è una pietra che scotta. E scotta molto, moltissimo. Si tratta del diamante Balabomo….. conteso dalle nazioni Akinzi e Talabwo.

-  Dicono che una delle due tribù aveva uno smeraldo, un gioiello e la gente lo adorava come se fosse stato un dio. Oggi lo smeraldo è il loro simbolo. Come una mascotte. Come la tomba del milite ignoto. Roba del genere insomma.
-  Uno smeraldo?
-  Dicono che vale mezzo milione di cocuzze -  fece Kelp.
-  Un bel po’.

Al momento il diamante è in possesso degli Akinzi, ma il maggiore Patrick Iko dei Talabwo vuole rubarlo per ridarlo al suo popolo. Per far questo ingaggia una banda di ladri e commissiona il furto. L’occasione è troppo ghiotta per Dortmunder e i suoi quattro complici perché al momento lo smeraldo si trova esposto al Coliseum di New York. Il capo di questo gruppo, John Dortumunder, elabora un piano artificioso per rubare la pietra preziosa, ma il furto si rivelerà molto più complicato del previsto. Non posso anticipare altro perché il libro vive su tutte le trovate geniali che l’autore snocciola in quantità impressionante, fino al suo incredibile epilogo.

GLI INEFFABILI CINQUE

John Arcibald Dortmunder è la mente. L’archetipo del criminale mancato. Alle spalle ha un matrimonio fallito, due condanne per rapina e una serie d’insuccessi. Andy Kelp: un pregiudicato specialista in furti d’automobili e con un debole per quelle dei medici. Stan Murch: un povero diavolo che vive con la madre, una tassista stramba, e che ha una spiccata sensibilità musicale. La sua passione sono i dischi che riproducono rombi di motori, stridio di freni, urla di pneumatici che mordono l’asfalto. Roger Chefwick: magari un po’ picchiato, con la sua mania per i trenini elettrici, ma in fondo neanche tanto. Lui la sua smania la soddisfa e riesce nientemeno che a guidare una vera locomotiva. Alan Greewood: uomo tuttofare soprattutto con le donne.

Ecco, questi i componenti della banda e su tutti Dortumunder. Il capo. La mente. Con il suo humor. La sua ostinazione, sfortuna e genialità. Protagonista memorabile dei romanzi di Westlake, insieme ai suoi degni compari, tutti fin troppo ben caratterizzati. Sembra un miracolo, come lo scrittore in poche pagine riesca a tracciare profili psicologici così completi e complessi. E non solo dei protagonisti, ma anche di tutte le comparse del romanzo come il maggiore Patrick Iko, l’avvocato Eugene Prosker o il Grande Miasmo. Tutti perfetti, incredibilmente completi e indimenticabili, e questo vale anche per qualsiasi personaggio minore di Westlake della serie Dortmunder, fra i tanti ricordo Tiny Bulcher, e il barista Rollo di O.J. Amsterdam Avenue.
Dietro il banco c’era Rollo, alto, grasso, pelato, guance illividite dalla barba, camicia bianca sporca e grembiule bianco ancora più sporco.
Quel pomeriggio, Dortumunder aveva già organizzato le cose telefonicamente, con Rollo, ma si fermò egualmente un attimo al banco, un po’ per educazione e un po’ per chiedere "è arrivato qualcuno?"
-  Uno solo" rispose Rollo "un birra alla spina. Non mi pare di conoscerlo. È nella saletta posteriore.
-  Grazie.
-  Tu sei un Bourbon doppio, vero? Te lo porto subito.
Dortmunder lo guardò.
-  Mi sorprende che ti ricordi ancora i miei gusti.
- Io non dimentico mai, i miei clienti - rispose Rollo. -  Lieto di riaverti qui. Se vuoi, ti porto tutta la bottiglia.

E poi più tardi.

-  Fuori c’è un tipo che deve essere venuto per te - disse - Uno “Scherry”. Devo farlo entrare?

Oppure

Un momento dopo entrò Greenwood, con un bicchiere pieno in mano e una saliera nell’altra.
-  Il barista dice che “Birra alla spina” vuole questo - esclamò.
-  Sì grazie -  rispose Murch.


Lo stile di Donald Westlake è uno di quelli che si ricorda. La sua scrittura non è mai banale eppure è sempre leggera. È versatile e gradevole. Proprio a lui dobbiamo l’inserimento dell’umorismo nelle trame gialle e poliziesche fino all’invenzione del romanzo comico crime con le sue trovate geniali, sfortunate, imprevedibili, scalcinate e divertenti, ma sempre, e sottolineo sempre, con un’equilibrata naturalezza a tratti disarmante. Come se, tutto quel marasma d’incredibilità comica fosse una conseguenza logica della storia donata al lettore con un semplice sorriso. Tutto questo, grazie ad un uso scorrevole e semplice della scrittura, resa accessibile a chiunque, magari povera di narrazione a beneficio dei dialoghi, sapientemente dosati e ricchi di un’ironia che sconfina nel puro divertimento della lettura. Nelle storie di Dortumunder c’è sempre una costante: LA MALASORTE. Si manifesta sempre. Può essere improvvisa oppure presente fin dall’inizio, ma di certo è sempre incallita, ossessiva, e semplicemente perfetta come un meccanismo ad orologeria che innesca una bomba di situazioni, gag e trovate esilaranti, del tutto geniali e ripeto in linea con i personaggi e la storia stessa, come se questo parossismo fosse logico e naturale. Questo è il dono di Westlake che resta indimenticabile per la profonda ironia che manifestano i suoi protagonisti. Grazie a questo insito humour, le azioni criminali del gruppo appaiono addirittura credibili e del tutto normali.

Greenwood puntò il dito contro il cane e ordinò: "A cuccia!".
Il cane si voltò a guardare Greenwood, incuriosito. Probabilmente si stava chiedendo: "E che è questo sconosciuto che sa come parlare ai cani?"
Il cane parve stringersi nelle spalle. Nel dubbio obbedisci agli ordini. Si mise a cuccia.
-  Avanti - disse Greenwood a Dortmunder. - Non ti darà più fastidio, ora.
-  Ne sei sicuro? - Lanciando un’occhiata dubbiosa al cane, Dortmunder fece un passo verso i gradini.
-  Non far vedere che hai paura di lui - consigliò Greenwood.
-  E come faccio a non farglielo vedere? - rispose Dortmunder, ma tentò di assumere un atteggiamento coraggioso.
Il cane parve perplesso. Guardò Dortmunder, poi ancora Greenwood.
- Fermo! - ordino Greenwood.
Dortmunder si fermò.
-  No tu -  disse Greenwood - Il cane.
-  Oh! - Dortmunder scese i gradini, passando vicino al cane, che gli annusò il ginocchio sinistro come per assicurarsi di poterlo riconoscere quando si fossero incontrati di nuovo.
-  Fermo! - ripetè Greenwood, puntando il dito contro il cane, e poi si voltò per seguire Dortmunder e Kelp fino alla macchina.
Salirono, con Dortmunder dietro, e Kelp li portò via di lì. Il cane, ancora accovacciato allo stesso posto, li seguì con lo sguardo finché non furono scomparsi. Forse stava imparando a memoria il numero della targa.

 
IL FILM - La pietra che scotta

Wiliam Goldman con molte licenze, ha tratto un arrangiamento piuttosto gradevole ed a tratti elisarante del romanzo di Westlake. Ad interpretare Dortmunder c’è un Robert Redford piuttosto credibile e ben coordinato da Gorge Segal e Paul Sand. La regia impeccabile e leggera è di Peter Yates, mentre le musiche sono di Quincy Jones ed entrano nel sangue.

Il prodotto cinematografico è ben fatto e mi sento di consigliarlo per passare qualche ora di spensierato divertimento.

recensione di Ivo Tiberio Ginevra



lunedì 4 febbraio 2013

La Fabbrica dei soldi


Donald E. Westlake
Sonzogno editore
Anno 2006

Recensione di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata su www.giallomania.it

Beh! oramai lo sanno tutti. Io adoro Westlake. Donald E. Westlake.

È il mio autore americano preferito. Il perché? Semplice. Nelle sue opere c’è una marea di genio mischiato a un’ironia introvabile in altri scrittori. In ogni suo romanzo nulla è lasciato al caso e il semplice insignificante particolare diventa il dettaglio della quadratura di un cerchio incredibile e fantasioso. Una storia di Westlake è una perfetta bomba ad orologeria che spesso scoppia di nera allegria.

Le sue sono sempre storie di crimine. In particolare quelle con protagonista John Arcibald Dortmunder sono storie di furti. Ehi, non furti normali. Furti che non potete immaginare. Ad esempio in “Meglio non chiedere” rubano una reliquia, in “The hot Rock”, rubano 5 volte di seguito la stessa cosa con piani di una fantasia incredibile e con una costante sempre fissa in ogni sua opera: La Sfortuna. Quella con la “S” maiuscola. Quella nera. Caina. Imprevista. Assurda e sempre presente. Anzi, tutto il filone dei “Dortmunder”, una decina di romanzi circa, ha sempre questa costante persecutoria della Sfortuna e s’inserisce con genialità e simpatia ogni volta sempre diversa, in tutti i colpi preparati da Dortmunder, capo della banda degli ineffabili cinque e cervello d’ogni azione dal furto sopraffino.

Ne La fabbrica dei soldi, Westlake per la prima volta mette il mio (che spero presto diventi anche il vostro) eroe, al soldo di Kirby Querk. Per la prima volta Dortmunder non progetterà alcun colpo e insieme a Andy Kelp l’unico della banda dei 5, sarà pure costretto a lavorare come uno schiavo per fare un colpo facilissimo. “Un colpo silenzioso…Niente ostaggi, niente esplosioni, niente problemi, Dentro, fuori, nessuno se ne accorge. Credetemi, funziona a patto che nessuno si accorga che è scomparso qualcosa”.Rubare una cosa che poi addirittura, neanche se ne sarebbero accorti. Roba da pazzi conoscendo Dortmunder. E lui “…Si stava annoiando. Doveva ammetterlo: si stava proprio annoiando. Di solito in un colpo, ci si riunisce, ci si prepara, ci si organizza, rimane una certa dose di tensione al momento di introdursi nel luogo da rapinare, di arraffare quello che si deve prendere e di tagliare la corda, a gambe levate. Ma non questa volta. Stavolta le porte erano aperte, gli allarmi disattivati, non c’era nessuno in giro. Si entrava a passo di valzer. E non si doveva arraffare niente né scappare a gambe levate.”….. “ Eccolo lì, a fare il palo in un colpo al rallentatore e ad annoiarsi. Era come fare un lavoro vero” ….. “ Sì, era proprio come fare un lavoro vero”. Ma intanto come non accettare? “Dortmunder scosse la testa. – Non so cosa sia. Il fatto è che questo colpo sembra tutto quello che non si deve fare, ma al tempo stesso è perfetto”….

Ma chi conosce Dortmunder sa bene che è un geniaccio e che alla fine troverà il solito sistema per movimentare un po’ la cosa.

Altro non posso aggiungere per non togliere il piacere della lettura, devo però precisare che si tratta di un romanzo breve. Cento pagine circa, a metà strada fra un lungo racconto e un romanzo troppo corto, ma al contempo ricco della profondità di un vero romanzo e diretto come un racconto breve. Genere difficile da scrivere come dice Ed McBain, il curatore della collana Deviazioni dove è stato pubblicato La fabbrica dei soldi. Westlake, da vero scrittore di razza riesce bene anche in questo genere proponendoci un Dortmunder diverso dai soliti e quindi in grado di stupire anche i suoi lettori affezionati.

Un’ultima cosa devo dirla sullo stile semplice, diretto, immediato, privo di qualsiasi retorica che lo scrittore americano imprime alle sue opere, ricche di un umorismo mai villano, sempre presente e dosato nelle giuste quantità. Umorismo impensabile e mai scontato. Umorismo che porta leggerezza ad una lettura da bere in un sorso. Umorismo che ti fa amare i personaggi, la storia, e Westlake in particolare. Umorismo che puoi leggere anche quando hai le palle rotte e il morale irreversibilmente sotto i tacchi.

In conclusione consiglio questo libro, o un libro qualsiasi di Westlake con Dortmunder e la sua banda, per riconciliarsi al piacere della lettura proprio quando tutto il mondo intorno a te gira da schifo, e parlo per esperienza diretta.

Ah, dimenticavo, la traduzione è di Andrea Carlo Cappi. Un gran bel lavoro che ha reso appieno lo spirito e gli intenti dello scrittore americano, indubbiamente la migliore traduzione dei Dortmunder nel sottile tratto psicologico del protagonista.

PS
Però su questo Westlake c’è un piccolo difetto che si concreta nell’eccessivo indugio nelle descrizioni dei percorsi stradali di New York city e zone limitrofe. Forse particolari piacevoli per gli americani del luogo, ma troppo distanti per noi europei intrisi di storia dell’arte ad ogni cento metri.