martedì 31 luglio 2012

Saranno infami

Alberto Paleari
Fandango editore
Anno 2012
pag. 221

LA TRAMA

Ivan è un quindicenne come tanti che vive nella periferia di una grande città del Nord. Pochi sogni, molti svaghi, dalle moto alle droghe leggere, fino al vandalismo per noia. E una vita tutto sommato monotona, finché un giorno incontra Astrid, una ragazza di due anni più grande, tanta esperienza di vita e un ascendente che Ivan fatica a tollerare. Lei è ossessionata dalla notorietà, sogna che la gente la riconosca per strada. Vuole essere rispettata, temuta. Lui, la spalla ideale per chi è abituato al comando, è un ragazzo remissivo, pronto a qualsiasi cosa per assecondare quei sogni di gloria. Provocazioni, violenze, trasgressioni, furti, autolesionismo, atti vandalici da riprendere e mettere sui social network più importanti. Farebbero di tutto pur di accendere i riflettori su quelle grigie esistenze. "Diventare più famosi di Gesù" è il motto. Alzare la posta in gioco sempre più in alto. Raggiungeranno la fama fino al punto di non ritorno, fino all'ultimo clic?

Recensione di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata su www.thrillercafe.it

Ho dovuto rileggerlo questo libro di Alberto Paleari, perché la prima volta non mi aveva convinto. Non so, forse il linguaggio, la trama, la stessa copertina… però qualcosa mi diceva di capirlo meglio anche se la storia non ha nulla di astruso.

Dalla rilettura, il libro n’esce sicuramente bene, anzi, molto bene e questo perché non comprendevo che Saranno infami, è un romanzo contemporaneo, scritto con il nuovo linguaggio di una generazione digitale lontana anni luce, dalla mia adolescenza. Ecco spiegato l’errore: L’ho letto dentro il mio mondo attuale.

Il romanzo tratta del bisogno giovanile di crescere in fretta ed emergere dalla massa, e ti porta inevitabilmente a fare paragoni generazionali.

Noi cinquantenni, con pancia, calvizie e lavoro da sedia, ingoiati da tasse, mutui, famiglia eccetera, spesso non afferriamo il senso del nuovo, o peggio, non diamo importanza al disagio di alcuni giovani che ci crescono accanto, in un mondo parallelo e digitalizzato pieno di parole strane come: Tag, follow, condividi ed altro, parole che per noi possono non significare nulla, ma che per questa nuova generazione, si traducono in cose essenziali.

Anche noi adolescenti abbiamo sentito il bisogno di crescere in fretta o di fingerci grandi magari fumando a 13 anni nei bagni della scuola, ma all’epoca avevamo poche distrazioni, poche scelte ed il mondo non era quello di adesso. Oggi tutto è alla portata di un clik. Oggi i nostri giovani hanno una vasta gamma di scelta per sentirsi grandi e rovinarsi la vita.

Noi avevamo poche soluzioni, poche distrazioni e ancora molto poco era a nostra disposizione per emergere, per diventare famosi. Ci voleva il talento, la genialità (ed anche la solita spintarella). Oggi è tutto inversamente proporzionale perché emergere dalla massa sembra, e ripeto, sembra molto più facile. Internet e i social network aiutano fino a diventare indispensabili, ma occorre che ti “followano”, che ti “condividono” oppure che ti mettono “mi piace”. Ecco Astrid, la giovane protagonista di Saranno infami, ha questo problema: deve emergere, deve diventare famosa. Per far questo ha bisogno di un milione di “mi piace”, ma non ha particolari qualità per emergere ed è insofferente a questa condizione di mediocrità. Lei deve venir fuori a tutti i costi dalla massa. Vuole il successo. Deve avere il successo. Per far questo l’aiuterà Ivan, il suo ragazzo, coetaneo e anche lui omologato al disagio della condizione adolescenziale, alla ricerca di valori alternativi. Lui ama Astrid. Si fa circuire. La subisce. È la spalla ideale. Accetta ogni provocazione anche illegale per farla felice a raggiungere un milione di “mi piace”, per farla diventare più famosa di Gesù. Gioia effimera, agognata fino alla pazzia di un finale imprevedibile, tragico e geniale.

Lo stile letterario di Paleari è secco, realistico, scorrevole e con dialoghi che ben rappresentano il disagio giovanile di ragazzi di periferia definibili come “nativi digitali”. La sua prosa è bella, contemporanea. Ricca di riferimenti reali a questo nuovo universo da analizzare, partendo dai dialoghi e dai “post”, riportati nell’esatto schema di conversazione dei social network come Facebook e Twitter, e con quello stupido linguaggio sincopato fatto da nn, x, ke ed altre consonati killer di vocali.

In definitiva Saranno infami è un romanzo che getta uno sguardo acuto sulla crisi di questa nuova generazione digitale con le sue disattese aspirazioni di vita, non ancora analizzate come fenomeno sociale contemporaneo.

Con un editing più curato soprattutto all’inizio del romanzo, Paleari avrebbe potuto superare di gran lunga il buon giudizio che gli ho dato, ma ripeto che nel complesso Saranno infami resta sempre una bella lettura.
recensione di Ivo Tiberio Ginevra



Madreferro

Laura Liberale
Edizioni Perdisa Pop
Anno: 2012
pag. 152



TRAMA
Dopo aver perso entrambi i genitori, una giovane studiosa torna al suo paese d’origine, nella campagna piemontese, con l’unico scopo di ritirarsi a scrivere indisturbata. Al suo arrivo scopre però che il luogo in cui è cresciuta nasconde qualcosa d’impensabile: racconti, ricordi e documenti di una storia misteriosa, tasselli da ricomporre per dare forma a un mosaico di episodi legati a rituali antichi, qualcosa di oscuro che riguarda in particolare le donne della sua famiglia.

Recensione di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata su www.thrillercafe.it

Madreferro non è una recensione facile.

Parliamo di lettura bella, colta, raffinata, viva, piacevole e complessa, intrisa di mistero e originalità, che alla sua fine lascia una notevole quantità di spunti meritevoli di approfondimento.

In poco più di centoquaranta pagine hanno convissuto fra loro, la catabasi dei rituali magici di purificazione d’oltretomba, con il ctonio di una terra misteriosa indissolubilmente legata alla sacralità di una natura divina madre, misteriosa ed esoterica.

Hanno convissuto con semplicità, la xenofobia non razzista dell’intolleranza e la discriminazione sinofobiaca, con la mitopoiesi del culto della Magna Mater. Madreferro è, infatti, intriso della cultura matriarcale che domina sugli usi e costumi della civiltà, asservendo la cultura, e anche la religione stessa, all’archetipo femminile della Grande Madre, distruttiva e megera che richiede il sacrificio umano per tornare ad essere quella feconda di messi e di vita.

Madreferro è un racconto affascinante, irrazionale e ricco d’immagini, dove la memoria torna all’infanzia nell’inconscia ricerca delle radici familiari di un matriarcato autorevole che reclama con forza e devozione, la sua appartenenza.

In questo lungo racconto di Laura Liberale la memoria insegue la fantasia, la realtà cerca l’immaginazione, e tutto è debitamente cosparso di percezioni illusorie e demoni familiari.

La vita e la morte si rincorrono, fondono, coesistono in una comunione dominata da sole figure femminili ambivalenti, buone e cattive al tempo stesso. Un vero e proprio forte matriarcato che relega l’uomo a pertinenza priva di valore.

Altro fattore collante dell’opera di Laura Liberale è il destino che permea ineluttabile fino al compimento, il dramma personale della protagonista all’interno della Saga familiare minima nel suo ossimoro, nella condivisione del nostro mondo da parte dei morti; dei nostri morti che ci aiutano ritrovando, forse, se stessi all’interno di una ricostruzione di un “Io” recuperato dall’antica memoria.

La scrittura di Laura Liberale, al suo secondo romanzo dopo Tanatoparty, è matura, lirica, ricercata e scrupolosa. In una sola parola: “Perfetta.”
recensione di Ivo Tiberio Ginevra

Una brutta storia

Autore: Piergiorgio Pulixi

Editore: Edizioni e/o

Anno: 2012

Pag. 439

TRAMA Una saga che ha per protagonisti una banda di poliziotti che si muovono ai confini della legge; un romanzo che getta coraggiosamente luce su un argomento tabù come quello della corruzione nelle forze di polizia. "Una brutta storia" è un dramma poliziesco corale che trasuda passioni, richiamando il pathos delle tragedie unito all'epica narrativa delle serie tv americane. Quella dell'ispettore Biagio Mazzeo non è una famiglia normale. E una famiglia composta solo da poliziotti. Un clan molto unito. Un branco dove si combatte insieme contro il crimine. Ma Mazzeo e i suoi ragazzi non sono poliziotti comuni: sono una banda di sbirri corrotti in seno alla Narcotici, che hanno preso il controllo delle strade col pugno di ferro. Mazzeo guida i suoi come se fosse un patriarca mafioso e farebbe qualsiasi cosa pur di salvaguardare l'integrità della sua famiglia: anche andare contro i suoi superiori o uccidere. Quando si presenta loro il colpo della vita, quello che potrebbe renderli tutti dei milionari, Mazzeo e la sua squadra non si tirano indietro. Ma il caso vuole che sulla loro strada spunti il cadavere di un criminale ceceno, non un delinquente qualsiasi, bensì il fratello di Sergej Ivankov, un potente mafioso ex leader della guerriglia di liberazione della Cecenia. Ivankov e il suo clan si recano in Italia in cerca di vendetta: quella che scateneranno contro Mazzeo e i suoi uomini sarà una guerra senza pietà.

Recensione di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata su www.thrillercafe.it

 

I motori che fanno viaggiare in fretta questo romanzo verso il piacere della lettura, sono molti e contrapposti. Non sono neanche nuovi o ricercati (amore, odio, ricchezza, famiglia ecc.) però Piergiorgio Pulixi li ha amalgamati fra loro nel modo migliore con la capacità di un attento sceneggiatore, dove nessun dettaglio è trascurato all’interno di una trama elaborata, nei suoi aspetti formali e strutturali.

In Una brutta storia la forma drammatica è necessariamente spinta fino alla tragedia per dare all’opera una nuova connotazione dal taglio epico, ricco di complotti e tormenti, proprio come un romanzo ottocentesco.

Fra i punti di forza si apprezza molto la contrapposizione dei due personaggi principali, Mazzeo e Ivankov. Solo che questa volta in ossequio al noir più puro, non abbiamo di fronte un personaggio positivo ed uno negativo, ma solo due soggetti negativi, crudeli e spietati, che si affrontato in una lotta senza esclusione di colpi per realizzare ognuno i propri cattivi ideali. La frase: ”L’amore mi ha reso debole. Non fare anche tu come me se non vuoi farti ammazzare” è il vero leit motiv della dimensione tragica e contestualmente epica di questo romanzo che rappresenta una nuova frontiera futuristica del noir italiano, fra sentimenti d’odio e amore del tutto distorti.

Piergiorgio Pulixi ci fa entrare in questo nuovo mondo ricco di personaggi tutti perfettamente caratterizzati, con un profilo psicologico completo fino ai dettagli, ed anche se qualche cosa può sembrare già letta, come l’infanzia disagiata del protagonista, o spiegata in antefatti introduttivi per ogni personaggio, è in ogni caso ben descritta e ben s’intona nel contesto dell’opera, perché alla fine i tratti caratteriali d’ogni soggetto, sono approfonditi interiormente e restituiti umani e credibili pur nella loro crudeltà. Vi sono, infatti, una ventina di comparse che nell’arco delle 439 pagine, diventano protagonisti a loro volta con una storia nella storia che si aggiunge con naturalezza alla trama principale.

Una delle cose più riuscite in questo romanzo è il contrasto armonico e disarmonico al tempo stesso fra il bene e il male rappresentato all’interno delle stesse forze di polizia. Il protagonista ispettore di polizia Biagio Mazzeo insieme ai suoi uomini e colleghi, in realtà sono dediti alla delinquenza fatta da corruzione, omicidio, ricatto ed altre illegalità del genere, ma riescono a vivere insieme come in una famiglia allargata chiamata da loro stessi “Il branco”, dove i canoni tradizionali della lealtà, sacrificio, protezione ed affetto sono rispettati da tutti i componenti fino a convincere il lettore, che i cattivi in fondo sono dei buoni e possono essere perdonati per le loro nefandezze, arrivando all’assurdo nel canalizzare sul male assoluto anche le proprie simpatie e condividere i loro cruenti modi di agire.

Appare realistico anche il senso d’abbandono ed alle volte d’impotenza, che i nostri tutori dell’ordine devono subire per contrastare la criminalità in modo efficace. Mi riferisco ai tagli di bilancio effettuati da un’amministrazione centrale ed indifferente, che tutto travolge per esigenze di budget riducendo ogni cosa all’essenziale. La descrizione di questo stato d’animo, concreto e sfiduciato è fra le pagine più realistiche e riuscite di Una brutta storia.

Per finire, la narrazione di Pulixi colpisce anche per l’assenza di pause e di retorica. È sapientemente gestita staccando l’azione al momento opportuno, con la logica conseguenza di rapire il lettore all’interno della storia per rilasciarlo solo alla fine, obbligandolo ad arte nella prosecuzione ad oltranza della lettura, il tutto con uno stile leggero, fluido, essenziale fin dalle prime pagine e di grande respiro.

S’intuisce sul finire dell’opera la possibilità di un seguito delle vicende dell’ispettore Mazzeo e del suo branco. Il mio personale augurio è di leggere quanto prima altre storie su questi bastardi poliziotti e di acclamare Piergiogio Pulixi fra i migliori romanzieri del noir italiano.
recensione di Ivo Tiberio Ginevra

Lo scommettitore

Remo Bassini
Fernandel Editore
Anno 2006
Pag. 188


TRAMA: Chi è lo scommettitore? È uno che scommette prima di tutto con se stesso, e poi con gli altri. Lo scommettitore lavora nell'ombra e mette in campo ogni mezzo: prostitute, cimici, spioni, corruzione. E più la scommessa è difficile, più lo scommettitore ama giocare. Fino al giorno in cui decide di scendere in campo in prima persona per una donna, candidata sindaco ma già data per perdente... Un libro che racconta un'Italia di provincia, in cui la vittoria o la sconfitta politica possono essere decise da uno scandalo, e il confine tra verità e menzogna è in mano all'etica dei giornalisti.


Recensione a cura di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata su thrillerpages.blogspot.com

Lo scommettitore è uscito per i tipi della Fernandel nel 2006 e a distanza di 6 anni dalla pubblicazione, rimane un testo più che attuale, e credo che lo resterà ancora per molti anni a venire.

È la storia di un personaggio (che lo scrittore non nominerà mai) alla ricerca di se stesso, o meglio, in fuga da se stesso. Di mestiere ha fatto l’investigatore privato, ma nella realtà è uno sporco faccendiere intrallazzato con oscuri poteri, immerso in un mondo politico fatto di spie, corruzione, prostituzione ed altro, ma sempre e in ogni caso sguazzante nell’amoralità.

Il protagonista del romanzo è innamorato del suo lavoro sporco. A lui piace condizionare la vita e il futuro delle persone. Piace condizionare la vita politica d’intere cittadine di provincia del nord Italia. Piace sporcarsi le mani e pesare la moralità dei propri interlocutori. Per far questo ha pure un ufficio ricco di tecnologia e puttane. Dove la prima serve per spiare, le seconde per arrivare dove non arriva la prima. Intercettazioni telefoniche, microspie, sesso e ricatti. Ma soprattutto a questo anonimo personaggio, che ama e cura con scrupolosità il suo anonimato in tutte le forme, piace scommettere. Lui è uno scommettitore. “… Lucia sapeva bene che a lui piacevano le scommesse, quelle difficili, quelle folli. Quelle improbabili no: era uno scommettitore-calcolatore lui.” E lui prende un incarico, ovviamente sporco, come favorire l’elezione di un candidato a sindaco e con ogni mezzo illecito cerca di raggiungere l’obiettivo. Lui scommette su questo. Scommette con se stesso che ci riuscirà. E vince sempre, perché è bravo e perché ogni uomo ha un prezzo. Alla fine si sfida in scommesse sempre più difficili, fino a desiderare di avere un incarico dal Vaticano per favorire o condizionare l’elezione di un Papa al posto di un altro. Ma un giorno, una scommessa persa, lo induce a guardarsi dentro e non si piace più. Anzi non si piace per niente e sente il bisogno di fuggire da se stesso per trovare una nuova dignità, ma è pur sempre uno scommettitore e da scommettitore esce di scena. Si confeziona una sfida. L’ultima. La più difficile e parte, verso una nuova cittadina, senza soldi, senza macchina, casa. Senza niente. Rinunzia a tutto per cercare la sua dignità perduta e magari l’amore.

Remo Bassini è grande nel mettere su carta questo personaggio così semplice e altrettanto complesso senza fare il grillo parlante retorico e morale. Lui avanza nella storia con tono realistico e impietoso. Sviscera i giochi di potere che animano le tranquille giunte comunali di una provincia indifferente. Scrosta l’intonaco della missione sociale dei politici rendendoceli soltanto preoccupati a non perdere la propria poltrona, innamorati o semplicemente drogati dal loro stesso potere e soprattutto conferisce dignità alle persone umili, oneste e a se stesso.

La scrittura di Remo Bassini è intensa e personale, ricca di balzi temporali che sospendono il lettore nell’azione o nel ritmo, come se si trattasse di un giallo narrato in prima e poi terza e poi ancora in seconda persona, al presente al passato al futuro. Un grande e difficile esercizio letterario interessante e singolare, riuscito in pieno.

Una lettura bella e sempre attuale di uno scrittore che con il suo narrare lucido e impietoso mette a nudo le contraddizioni della provincia del nord Italia, continuando nella tradizione di grandi scrittori come Buzzati, Pavese ed altri noti.

Le descrizioni

Monica Dall'Olio
Perdisa Pop Editore
Anno 2012
Pag. 145

Recensione di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata su www.wlibri.com

Le descrizioni è un modernariato della memoria che comprende pezzi di ricordi dell’immediato post ’68 italiano, visti attraverso gli occhi innocenti di una bambina intelligente e desiderosa di sapere, cosa sono quelle parole strane che iniziano a far parte della sua vita.

Questa voglia di sapere che si sviluppa attraverso il curioso modus di ricopiare in un quaderno tutte le parole incomprensibili a una piccola bambina, si traducono per noi cinquantenni in un tuffo nella memoria e nei misteri dell’Italia.

Grazie alle Descrizioni di Monica Dall’Olio, riaffiorano nomi e cose dal polveroso archivio disordinato della nostra memoria come il ballerino Don Lurio, il ciclista Felice Gimondi, il cantante Lucio Dalla ai suoi esordi nella balera Taro Taro, ed anche la conturbante attrice Ursula Andress che ha animato le fantasie degli italiani con la sua nordica bellezza. Anche l’udito è interessato da quest’azione di recupero, infatti, tornano alla mente le sigle musicali della TV dei ragazzi, di Rin Tin Tin, di Carosello, di Nero Wolfe insieme alle canzoni di Mina, Little Tony ed all’intramontabile Tuca Tuca di Raffaella Carrà.

Si ricordano anche vecchie sigle di partito come la D.C. oppure il P.C.I., ignare ancora di mani pulite la prima e dei profondi cambiamenti e divisioni interne la seconda.

Tutto questo spaccato di società italiana d’inizio anni ’70 che Monica Dall’Olio mette dentro a Le descrizioni, è puro, perché chiesto e analizzato con quella purezza dei bambini che si affacciano al mondo dei grandi ed è scritto con l’inesauribile gentilezza di una bambina che attraverso la scrittura inizia a relazionarsi col mondo degli adulti. Gli occhi di Mika, amabile e curiosa.

Il libro si articola in 3 parti.

Nella prima vediamo la nostra piccola protagonista alle prese con una brutta malattia respiratoria che la porta a vivere lontana dai suoi genitori per curarsi con lo iodio di un paesetto marinaro. In questa fase scopre il mondo della scrittura e copia su dei quaderni, dapprima segni, poi parole, poi parole ancora più difficili e infine articoli di giornale. Ha la “smania” di scrivere. Ha la “smania” d’imparare a leggere. Crede erroneamente che l’unione delle due azioni di leggere e scrivere le svelerà il segreto della comprensione delle parole, ma non è così.

Nella seconda parte la piccola Mika è a casa con la sua famiglia. Ora sa scrivere. Legge il romanzo Niente di nuovo dal fronte occidentale, ed entra nelle dinamiche familiari e sociali. Cerca di capire. Di dare significato alle parole, fra messaggi pubblicitari e sceneggiati televisivi, insieme a cose difficili come l’elezione dell’onorevole De Martino a segretario del P.S.I.. Mika deve, vuole, cerca di capire la relazione fra le parole e la vita. C’è riuscita, ma le cose associate alle parole hanno il senso univoco di non averlo.

Nella terza parte la piccola Mika fa i conti con la vita e i suoi aspetti tragici e sempre con la scrittura che non ha mai abbandonato, arriva a varcare il contenuto delle parole. Capisce che la violenza e la morte non sono delle parole che scrivono un libro, ma sono fatti concreti che scrivono la vita con l’inchiostro delle lacrime.

Riconosco a Monica Dell’Olio il dono di una scrittura semplice, inspirata e senza artifici, che è stata molto brava nel descrivere la suggestione del magnifico mondo delle parole, con gli occhi di una bambina, che di pari passo procede con la scoperta di quello reale. La scrittura, quindi, come mezzo per arrivare alla verità di un universo che risulta essere incomprensibile e ostile.

Altro pregio del libro è quello di aver saputo portare il lettore per mano nel contesto sociale del periodo, tempestandolo con la quotidianità del ricordo narrato da una piccola bambina innocente che vive la sua epoca di fatti,con mode e costumi di una Italia a cavallo fra il ’69 e i primi degli anni ‘70.

In conclusione Le descrizioni è un buon libro, scritto molto bene, che non travalica, ma riesce a cucire addosso una nostalgia per un passato oramai trascorso come la nostra vita di cinquantenni in parabola discendente. Un po’ di pepe, però, avrebbe dato un qualcosa in più a questa breve e intensa meraviglia di 145 pagine.