giovedì 23 giugno 2011

Recensione de GLI ASSASSINI DI CRISTO di Ivo Tiberio Ginevra

La Crisi 2009: Gli assassini di Cristo: "Gli assassini di Cristo - Ivo Tiberio Ginevra - Robin Edizioni Il libro si apre con una furia iconoclasta che pervade una città della S..."

lunedì 20 giugno 2011

Viaggio all'alba del millennio



Autore: Massimo Maugeri

Editore: Perdisa Pop

Anno: 2011

Recensione


L’ultima fatica di Massimo Maugeri è un’antologia di racconti, 11 per la precisione, che sebbene all’apparenza sembrino godere ognuno di vita propria, alla fine formano il corpo unico di un grande romanzo, dove addirittura l’ultimo di questi: “La città di Elio Fante” ha al suo interno la “genialata” di far vivere tutti i protagonisti delle precedenti storie così formando un’opera indivisibile.
Ma il collante di tutti i racconti, il motivo conduttore, lo troviamo alla fine del libro, dove al centro di una pagina si legge un passo di Le città invisibili di Italo Calvino
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui; l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrire: il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
Ecco la chiave che apre tutte le serrature! L’inferno dei viventi. Allora e solo allora, dopo avere finito di leggere il libro, capisci che il suo scrittore ti ha consegnato delle storie che non dimenticherai facilmente, perché reali, tangibili, in una sola parola: VERE. Vere perché riflettono con lucidità settoriale le nevrosi e le paure dell’uomo contemporaneo: Le nostre.
Questi 11 racconti sono storie di ansie, aspettative tradite, grottesche messe in scena di una realtà esasperata, ma pur sempre reale.

I racconti che compongono la raccolta e che devono necessariamente essere letti nell’ordine voluto dallo scrittore sono:
Viaggio all’alba del millennio che riflette la nostra psicosi esasperata e parossistica di attentati aerei in seguito al tragico 11 settembre americano, sollevando al contempo la paura per il diverso da noi, rappresentato nella specie dal confratello mediorientale, con le sue profonde differenze religiose, etiche, sociali.
Ho un regalino per te è un crudo racconto che seziona le dinamiche dettate dall’indifferenza del rapporto di famiglia fra una madre e un figlio, con un umorismo nero degno di nota.
Bianco e nero è un racconto che resterà scolpito nella mente del lettore perché affronta con ricercata umanità la piaga dell’immigrazione e del razzismo con i suoi barconi della speranza.
L’abito nuziale riporta alle godibili atmosfere paradossali dei racconti di Gogol e Cechov, dove la paura del matrimonio e delle sue nuove aspettative di vita è vissuta nell’incognita di una macchia di sangue nell’abito da sposa.
Muccapazza tocca il tema della solitudine dell’uomo moderno che si abbandona ai processi di autoesclusione dalla società, inglobando tutte le proprie pulsioni di vita nelle dinamiche di rapporti virtuali, anche sessualmente goduti innanzi al computer. Un rifiuto della realtà di pirandelliana memoria.
Aclas ripropone le tematiche del razzismo, ma stavolta le affronta in modo costruttivo, con una invenzione ricca di grande umanità che genera il risveglio della coscienza e del vivere sociale.
Ratpus narra con un linguaggio estremamente originale, le drammatiche vicissitudini di una povera donna che all’improvviso resta sola ad affrontare la povertà, le ambiguità familiari, le grettezze della miseria umana e soprattutto il venir meno dei valori di una vita onesta, trovando il suo riscatto morale in un raptus omicida.
Mind Games è il dramma della perdita, dell’aberrante elaborazione del lutto che trova la sua logica nel rifiuto della realtà. Nel rifugio della pazzia.
Sono è la grande costruzione stilistica di un dramma familiare nel giorno del compleanno più desiderato. Dove il giovane protagonista invece di essere consegnato alla vita adulta è gettato nella tragedia di un coma. Un racconto di morte e rimpianto, ma non senza speranza.
La nonna di Lucio racconta un’altra storia di solitudine e incomprensione familiare, stavolta fra nonna e nipote, scritta con un umorismo degno di nota.
La città di Elio Fante è la summa di tutte le storie precedenti innestata in una Catania svogliata e vissuta da un gruppo di giovani che riflettono la loro indifferenza verso il mutamento della società e dei loro stessi rapporti d’amicizia. Questo racconto riesce a ricongiungersi a quello iniziale chiudendo così un circolo perfetto che si autorigenera.

Il risultato finale è una costruzione stilistica raffinata, così come tutto il linguaggio dell’opera che denota una non comune capacità narrativa di Massimo Maugeri, estremamente personale, contemporanea, intensa e a tratti umoristica, dove la rabbia, il dubbio, l’incomunicabilità, il consumismo, ed i valori eterni della famiglia, amicizia e umanità, sono analizzati con occhio spietato che riesce a cogliere le loro involuzioni cariche di una moderna nevrosi piena d’inganni, ma al contempo ricca della speranza che tutto possa migliorare all’alba del nuovo millennio.
Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata su www.thrillercafe.it

Visita il blog Letteratitudine Massimo Maugeri.

Il commissario Bordelli


Autore: Marco Vichi

Editore: Guanda

Anno: 2002

Trama in sintesi:

Firenze, estate 1963. La città è deserta per le vacanze e assediata dal caldo e dalle zanzare. Il commissario Bordelli passa la notte a rigirarsi nelle lenzuola, dopo giornate di banale routine estiva sbrigata da quei pochi rimasti, come il poliziotto Mugnais e il nuovo arrivato, Piras. Quand’ecco che una telefonata gli annuncia una morte misteriosa: una ricca signora viene trovata morta, accanto al letto un bicchiere con le gocce per l’asma e sul comodino il flacone perfettamente chiuso. Ma è difficile pensare a un attacco improvviso della malattia, come spiega l’anatomopatologo. Bordelli indaga sui singolari personaggi che frequentavano la villa della donna, tutti dotati di un alibi di ferro, ma c’è qualcosa che non lo convince.

Recensione

Ho letto il primo libro della saga del Commissario Bordelli quando uscì nel 2002 edito dalla Guanda e ricordo bene che mi piacque molto quel poliziotto cinquantenne, ex partigiano, scapolo non per vocazione, con la sua sigaretta in bocca e una esistenza disordinata asservita al lavoro e agli ideali di giustizia e libertà.

Ricordo bene che mi piacque la sua ambientazione nella Firenze anni 60, in bilico fra la tipica spontanea genuinità del suo essere città semplice e la strisciante contaminazione affaristica del dopoguerra da “prima repubblica” dove inizia la scalata al potere di una classe di governanti che darà i suoi assurdi frutti da pentapartito vent’anni dopo.

Ricordo che mi piacque molto quello strano concetto di giustizia del commissario Bordelli, servo della legge, ma che l’applica distinguendo fra gli uomini. Un’umanità, la sua, ricca d’intelligenza, dove un misero ladro che delinque solo per necessità, riesce ad avere la schietta amicizia del commissario, contrariamente ad altri rampanti colleghi d’ufficio che mai l’avranno come il questore Inzipone.

Ricordo che mi piacque molto quella cappa d’aria calda, mirabilmente descritta, che avvolgeva la città spogliata dalla maggior parte dei suoi abitanti fuggiti al mare, e quei superstiti boccheggianti nell’afa con le camicie sudate.

Ricordo che mi piacque molto lo stile di Vichi così semplice e scorrevole, ma al contempo così cesellato nella costruzione dei pochi personaggi secondari, ognuno destinato a sopravvivere a lungo nella memoria del lettore.

A distanza di nove anni ricordavo tutto questo ad eccezione della trama gialla. Proprio questa è stata la molla che mi ha fatto venire la voglia di rileggerlo, ma non trovandolo più nella mia libreria (sicuro prestito non più restituito) l’ho ricomprato nell’edizione Tea.

Ero molto curioso di riconfrontarmi col mio vecchio giudizio, quindi mi sono tuffato nella lettura e oggi, con estrema franchezza posso dire di non essermi sbagliato.

Nella rilettura del libro il commissario ha mantenuto il suo fascino e forse ancora di più ho gustato la sua completezza umana e l’ottimo tratteggio di tutti i personaggi secondari dell’opera, a partire dal suo aiutante sardo Piras.

Del poliziotto Bordelli mi è ripiaciuto vedere il suo inserimento nel tessuto sociale degli anni sessanta, ma più di ogni altra cosa il suo essere terreno e credibile del tutto diverso dai colleghi americani perfetti, supertecnologici, sempre dal grilletto facile in situazioni “pazzesche”.

Soltanto la trama gialla l’ho trovata un po’ debole, ma la ritengo alquanto attinente al lavoro quotidiano di un commissario di polizia e soprattutto credo che sia stata solo un pretesto per scrivere un bel libro della memoria, ricco di nostalgia e ricordi della guerra partigiana, molti dei quali realmente vissuti dal padre di Vichi durante i suoi combattimenti contro i nazisti, d’altronde il ringraziamento dell’autore al genitore è piuttosto esplicito e si conclude con una bella frase: “Se oggi lui fosse vivo credo che sarebbe contento di vedere che quelle storie vivono in questo romanzo”.

In conclusione il libro d’esordio del commissario Bordelli è un davvero un buon libro ricco di sincera umanità..
Ivo Tiberio Ginevra
pubblicato su http://www.thriller/ cafe.it