martedì 12 luglio 2011

Semina il vento

Autore: Alessandro Perissinotto

Editore: Piemme

Anno: 2011 Pagine: 275


Trama in sintesi:

Forse è stato il caso o forse l’amore a condurre Giacomo Musso, maestro di trentacinque anni, al Braccio 6, nel reparto di massima sicurezza di un carcere del Nord Italia. Sulle labbra, la dichiarazione di innocenza; tra le mani, il giornale che ritrae in prima pagina il corpo senza vita di sua moglie. Su consiglio del proprio avvocato, Giacomo decide di raccontare la propria vicenda, l’inevitabile serie di eventi che lo ha condotto in quella cella. E così torna all’epoca in cui, per riuscire a sopravvivere a Parigi, alternava il lavoro di curatore di mostre per bambini, a quello di cameriere. Era in quel periodo che aveva conosciuto Shirin. Non l’aveva trovata subito bella, almeno non nel senso consueto del termine; era stato attratto piuttosto dalla storia che i suoi occhi sembravano celare, da quel profondo distacco verso chi le stava accanto, come se per lei la vita vera fosse altrove. Ci sono amori che iniziano all’improvviso, con notti memorabili, il loro invece era nato con la lentezza inesorabile delle cose fatte per durare. L’innamoramento, il matrimonio e poi la decisione che avrebbe cambiato le loro vite per sempre: lasciare Parigi per trasferirsi a Molini, sulle montagne piemontesi, nel paese dove lui era nato.

Lontano dalla frenesia della Capitale, tra le vecchie case di pietra e i rituali semplici di un posto che pareva essere rimasto indenne al trascorrere del tempo, Giacomo aveva rinsaldato il legame con la propria tradizione e Shirin aveva trovato una terra in cui far crescere quelle radici che le erano sempre mancate, quelle radici che i suoi genitori avevano reciso fuggendo dall’Iran e dalla rivoluzione islamica.

Ma nessun luogo è al riparo dal vento dell’odio, dal fanatismo delle religioni, dall’arroganza del potere,dall’intolleranza strisciante. Così il paradiso aveva cominciato a scivolare verso l’inferno, prima piano, poi sempre più rapidamente, fino ad arrestarsi lì, in quella cella, con il tormento del ricordo d’un amore reso perfetto dalla morte.

Recensione
di Ivo Tiberio Ginevra pubblicata su www.thrillercafe.it

Semina il vento, l’ultimo romanzo di Alessandro Perissinotto, è una lucida analisi del nostro malessere di vivere le nuove trasformazioni della società in costante inesorabile movimento.

È l’oggettiva analisi di un malessere vissuto come sfida preconcetta al rifiuto del nuovo e del diverso.

È un’impietosa analisi esasperata dei concetti di tradizione, amore, gelosia, menzogna e religione, fusi in una sola, semplice parola: “Odio”. Odio nei confronti di ciò che non è uguale a noi.

Tahar Ben Jelloun nel suo saggio contro il razzismo conclude: “Non incontrerai mai due volti assolutamente identici. Non importa la bellezza o la bruttezza: queste sono cose relative. Ciascun volto è il simbolo della vita. E tutta la vita merita rispetto. È trattando gli altri con dignità che si guadagna il rispetto per se stessi“. Mi permetto di continuare indegnamente applicando la lezione di Jelloun… il rispetto, quello vero, quello che porta all’abbraccio della diversità mantenendo il proprio essere, è quello che parte dal rispetto stesso delle parole. All’attenzione delle parole che si usano, perché le parole sono pericolose. Sanno ferire, sanno umiliare, sanno discriminare, sanno insegnare l’odio. E dall’odio nasce l’unica cosa concepibile. L’unica figlia dominatrice incontrastata delle disgrazie umane: “La morte”.

Perissinotto è un maestro nel dipanare la tragedia dalla stilla delle parole, e riesce a caricarle d’ottusa preconcettualità, arroganza e miseria umana.

Nel romanzo l’autore si scaglia con forza magistrale contro i modi di dire e di fare. In particolare attacca un famoso proverbio: “Mogli e buoi dei paesi tuoi”, vissuto come anticamera dell’incomprensione il cui concetto generico alimenta il verme dell’intolleranza, che muta nell’ottusità dell’odio di tutti i personaggi dell’opera e che, inesorabilmente esplode nell’odio per odio.

È il protagonista Giacomo Musso, nella sua postuma analisi che precederà il suicidio, a suggerire nel “rispetto” la chiave per superare le diversità e la soluzione per rendere migliore il nostro futuro interrazziale. È proprio dall’esame dei suoi sbagli che dobbiamo capire il bisogno di indignarci al comportamento arrogante e razzista dell’ottuso potere e della complice indifferenza della gente. È dalla tragedia del protagonista che Perissinotto lancia il suo incitamento all’uso responsabile delle parole che generano indifferenza e odio. All’amore per la vita alla quale è dovuto il giusto rispetto. Al rispetto delle altrui dignità senza discriminazioni culturali o religiose, senza fare d’ogni cosa fanatismo, o gretta tradizione.

Questo romanzo è una memorabile lezione di vita.

Intervista a Massimo Maugeri


Intervista di Ivo Tiberio Ginevra a Massimo Maugeri pubblicata su www.thrillercafe.it

Ospite oggi su Thriller Café, Massimo Maugeri, del quale abbiamo recensito recentemente Viaggio all’alba del millennio; qui a seguire la chiacchierata con lui…

D: Dopo i romanzi Identità distorte e La coda di pesce che inseguiva l’amore, tutti si aspettavano un altro Thriller e invece è arrivato Viaggio all’alba del millennio. Qual è stata la molla che ti ha fatto scrivere questa raccolta di racconti? Cos’è scattato dentro a Maugeri scrittore?

R: Sentivo l’esigenza a provare a fare i conti con questo scorcio di inizio millennio, prendendo come punto di riferimento alcune situazioni e tentando di ritrarle… per poi zoomare su alcuni particolari. Mi è venuto in mente di provare a raccontare questo nostro tempo con storie brevi (partendo da due racconti che avevo già scritto), cercando di incrociarle. Ecco. La molla è stata questa.

D: Come definiresti questo romanzo?

R: Mi fa piacere che tu definisca Viaggio all’alba del millennio con l’appellativo di romanzo. In tanti, in effetti, mi hanno detto che le varie storie possono essere benissimo lette come i singoli capitoli di un’unica grande narrazione a largo respiro.
Venendo, dunque, alla tua domanda: come definirei questo libro? La prima parola che mi viene in mente è: “eclettico”… oppure “vario”. Ogni racconto – o capitolo – è diverso dall’altro per stile, linguaggio, approccio e punto di vista della narrazione. Ciò perché ho deciso di prestare “orecchio” e penna ai personaggi che si affastellavano nella mia testa, rispetto alle situazioni in cui si trovavano. Sentivo che ciascun personaggio e ciascuna situazione richiedevano di esser raccontati in maniera diversa. E così ho fatto.

D: Alla fine del libro troviamo una pagina dove si legge un passo di Le città invisibili di Italo Calvino: L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui; l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrire: il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. Ci spieghi qual è il tuo inferno?

R: Amo molto Calvino. E credo che quel passo sia una delle più belle citazioni della letteratura del Novecento. Il mio inferno, o meglio la mia paura, è rischiare di rimanere invischiato nella prima delle due opzioni formulate da Calvino… che poi è quella più “facile”. Credo che da questo rischio non sia esente nessuno, soprattutto oggi… dal momento che viviamo in una società “accelerata” e mediaticamente “sotto assedio” dove il tempo per riflettere e per guardarsi dentro è sempre più esiguo. Nel momento in cui, però, smettiamo di riflettere e di guardarci dentro viene meno la possibilità di riconoscere quell’“inferno” a cui fa riferimento Calvino. E se non riconosci l’inferno, non puoi neppure riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno. È questo, il rischio.

D: Quanto c’è di Massimo Maugeri dentro Viaggio all’alba del millennio?

R: Tutto e niente, come spesso accade agli scrittori. I personaggi bussano alla porta e li fai entrare (per dirla come Dacia Maraini). Certo, è indubitabile che per “metterli in scena” devi prestare loro le tue facoltà intellettuali ed emozionali.

D: Ho notato che alcuni racconti sono centrati sull’incomunicabilità, in particolare quella tra familiari. Hai una soluzione da suggerire per tornare a comunicare?

R: Nelle storie, come è giusto che sia, il lettore non troverà risposte, ma solo stimoli e spunti per porsi domande. Almeno spero…
Il tema della “incomunicabilità”, così come quello della “crisi di identità”, è centrale e trasversale rispetto a questi racconti. E quello della incomunicabilità all’interno delle famiglie credo che sia particolarmente all’ordine del giorno. Io credo molto nella condivisione, nell’arte così come nella vita. E cerco di metterla in pratica. In ogni caso, in generale, ritengo che un primo necessario passo da compiere sia quello di riconoscere che il problema esiste.

D: Come mai hai scelto di narrare in seconda persona singolare?

R: Ho adottato questa scelta nel primo racconto, “Viaggio all’alba del millennio” (quello che dà il titolo alla raccolta) perché, a mio avviso, crea un effetto di maggiore coinvolgimento nel lettore. Desideravo che il lettore si sentisse chiamato in causa… come se quel “viaggio”, in un certo senso, interessasse proprio lui.
proprio te, caro lettore.

D: Ti trovi meglio nei panni di scrittore minimalista o in quelli di scrittore Thriller?

R: Non saprei. Credo la mia scrittura sia piuttosto poliedrica. La cosa fondamentale, per me, è agguantare storie e personaggi… e prestar loro, come ho già detto, orecchio e penna.

D: Cosa ti è piaciuto di più di Massimo scrittore, quando hai riletto il libro?

R: Rileggere il racconto “Raptus”, volutamente zeppo di errori di ortografia e di grammatica (perché la voce narrante è quella di una donna poco istruita), e scorgere in esso un nuovo linguaggio con le sue “antiregole”. E, paradossalmente, non avere alcuna preoccupazione di trovare refusi. (Questa è una battuta: sorridere, prego!)

D. Qual è il racconto di questo tuo libro al quale sei maggiormente affezionato? E perché?

R: Direi “Muccapazza”, originariamente pubblicato nella rivista di letteratura “Lunarionuovo” diretta da Mario Grasso. Era il 2003, se non ricordo male. Il motivo è di natura nostalgica, giacché quel racconto coincide con il mio esordio letterario “ufficiale”.

D: Ti riconosci in particolare in qualcuno dei protagonisti di Viaggio all’alba del millennio?

R: Per la verità, no. Non c’è un personaggio in particolare in cui mi riconosco, anche se…. Ti rispondo nella prossima domanda (che ho già adocchiato).

D: Scusa ma la domanda è obbligatoria: Hai paura a viaggiare in aereo?

R: Non particolarmente… ma ammetto che nei mesi successivi al crollo delle Torri gemelle di New York mi veniva istintivo guardarmi intorno nel tentativo di identificare possibili terroristi kamikaze.

D: Dopo il Thriller e la scrittura minimalista, sei alla ricerca di un nuovo format di linguaggio?

R: Sono sempre alla ricerca, per quanto riguarda il linguaggio. Credo sia una delle mie caratteristiche.

D: Progetti per il futuro?

R: Tanti. Continuare a portare avanti il mio blog: Letteratitudine. Proseguire il mio programma radiofonico di libri e letteratura che curo e conduco su Radio Hinterland. Ma soprattutto, continuare a scrivere. E non mancano nuove idee per ulteriori progetti…

D: Scriverai altri Thriller?

R: Penso di sì. Per certi versi il nuovo romanzo a cui sto lavorando assomiglia a un thriller.

D: Fatti una domanda e datti una risposta.

R: Domanda: Massimo, quand’è che toglierai da Letteratitudine quella ridicola foto di te con la “camicia celeste”?
Risposta: Mai, perché mi ha portato fortuna e ci sono affezionato… anche se, nel tempo, quella camicia sarà destinata a diventare grigiognola a causa dell’inevitabile logorio.

Da ThrillerCafé, grazie a Massimo Maugeri per la disponibilità e l’augurio di poterlo ospitare di nuovo su queste pagine.

Rosanero


Autore: Maria Tronca

Editore: La tartaruga

Anno: 2010  Pagine: 133


Trama in sintesi:

Calogero Mancuso, un mafioso giovane e belloccio, viene ammazzato nel centro storico di Palermo per un regolamento di conti. Nello stesso momento Rosellina Restivo, una bambina di nove anni, cade dall’altalena e perde conoscenza. Vengono portati entrambi nello stesso ospedale. Quando Rosellina si sveglia è strana, violenta, dice un sacco di parolacce, ma continua a giurare che non è colpa sua. La verità è che l’anima di Calogero è entrata nel suo corpo. Calogero vede attraverso gli occhi di Rosellina e sente attraverso le sue orecchie. E, se lei glielo consente, riesce anche a parlare, con una voce inquietante, e a usare il corpo della ragazzina come se fosse il suo. Giorno dopo giorno, il mafioso scopre cosa significa vivere dall’altra parte della barricata, nell’incubo dell’estorsione. Affronta un segreto che sbuca dalle pieghe del suo passato. Vive l’angoscia del tradimento. Attraverso la vita di Rosellina tocca con mano il valore della lealtà, lo sdegno, la tenerezza. E a suo modo, insieme alla sua giovanissima alleata, riesce a far trionfare la giustizia. Poi abbandona il suo corpo, perdendosi tra le strade di Palermo. Dove andrà?

Recensione
di Ivo Tiberio Ginevra pubblicata su www.thrillercafe.it

Domenica, 29 maggio 2011

Palermo è una città in festa.

La sua squadra di calcio alle 20.30 disputerà la finale di coppa Italia contro l’Inter. Ovunque bandiere rosanero e ovunque c’è un clima d’allegria.
Compro a mio figlio, prima la bandiera con l’aquila stampata in bella mostra, poi il berrettino ed infine la magliettina del Palermo che vuole subito indossare.
Continuando la passeggiata entro, come al solito, in libreria e cercando fra gli scrittori siciliani vedo il dorso di un libro che s’intitola Rosanero. Lo prendo. Ha una copertina che affascina subito: una bambina di dieci anni, forse, a braccia conserte con una pistola serrata nella mano destra. Un sfondo nero. Un viso diafano. Uno sguardo da adulto. Uno sguardo che non le appartiene.
Autore: Maria Tronca, non la conosco, ma leggere una scrittrice mi va proprio, 133 pagine, La Tartaruga editore (Baldini Castoldi Dalai). Oggi mi sento proprio palermitano. Lo prendo.
Albertino cammina felice dentro la sua larga maglietta e sbandiera i colori cantando: Rosanero alè ale. La gente lo guarda e sorride.
Anch’io ho una cosa rosanero. Un libro. Mi sembra bello.
Comincio la lettura prima di mettermi a tavola per il pranzo, ed è la fine. Giusto il tempo di mangiare e dopo una galoppata fino al traguardo delle 133 pagine. Inutile dire che mi è piaciuto molto.

È un libro godibile e molto originale, con un titolo azzeccato, dove il rosa identifica la protagonista femminile Rosellina, una bambina di nove anni, ancora ingenua, pura, educata. Piena di tenerezza, tuttavia già segnata dal dolore per la perdita della madre e dalle preoccupazioni vissute dal padre che si arrabatta a lavoro per poterle dare una cultura, dei sani principi, una vita migliore. Il Nero è invece l’altro protagonista. Calogero Mancuso. Giovane boss mafioso emergente, sarcastico, spietato, arrogante e maleducato che incarna la cultura del male storico della terra di Sicilia.

Il rosa e il nero. Rosanero i colori della squadra di calcio del Palermo. Città teatro del romanzo.


Il nero per invenzione letteraria è costretto a vivere nel corpo di Rosellina, però la convivenza comincia subito male, perché il carattere beffardo di Calogero soverchia subito l’ingenuità della bambina… ma sono purtroppo costretti a vivere insieme. Proprio questo collante, nello scorrere delle pagine, porterà il nero a capire meglio le cose. A rivedere tutto il suo passato. Le sue ignobili azioni mafiose. Capirà cosa vuol dire il tradimento, la sopraffazione. Capirà quanto vigliacco è stato tutto il suo stile di vita. Quanto vigliacco è chiedere il pizzo a un poveraccio. E lo capirà vivendolo dall’infantile punto di vista della bambina, nella proiezione del nucleo familiare. E se questo non lo porterà mai a rinnegare la sua origine malavitosa e a consumare la vendetta, di contro, lo obbligherà ad sostenere la sua nuova famiglia e Rosellina stessa perché, oramai, è sopraffatto dai valori della solidarietà, del coraggio, della lealtà e soprattutto dalla delicatezza del mondo infantile.

Il rosa e il nero. Il bene e il male.

Sono costretti a convivere nello stesso corpo e come nella migliore tradizione: è il bene che trionfa sul male.

Il romanzo si dipana ad un ritmo serrato, con un linguaggio personale intercalato da espressioni dialettali che danno credibilità ai personaggi, tutti ben delineati nei loro profili psicologici. La storia è fresca, godibile e a tratti geniale. La fine lascia intuire che potrebbe esserci un seguito con una nuova reincarnazione del male (oramai bene) all’interno di un cane (bastardo) simbolo della lealtà disinteressata. Forse vi potrà essere un nuovo capovolgimento dei tradizionali concetti del bene e del male… molto interessante. Lo aspetterò con ansia.

Per la cronaca ho avuto giusto il tempo di finire di leggere il libro e mettermi in macchina per andare a vedere la partita da Enzuccio, logicamente con mio figlio. È andata male. Abbiamo perso.


Un estratto del romanzo:

[...] Adesso che Calogero sapeva che cosa gli era successo, pensava che era meglio quando non lo sapeva. Non si dava pace, ma era diventato meno loquace. Passava ore e ore in silenzio, a ricordare. E una volta, era notte, non ce la fece più e si mise a piangere come un bambino.

Rosellina si svegliò, aveva sete, la gola arsa, si toccò la fronte, scottava, andò in bagno a bere, e poi si sciacquò la faccia con l’acqua fredda.

Si asciugò e si guardò alla specchio, per la prima volta da quando era tornata a casa. Si guardò negli occhi, più in fondo che poteva e disse:

“Mi dispiace che sei morto. Ma smettila di piangere che non riesco a dormire”.

Calogero smise all’istante, rimase zitto per un attimo, sentì il cuore che gli batteva forte ma non era il suo, era quello di Rosellina.

Minchia! Ma allora mi senti!

“E smettila anche di dire parolacce, sempre parolacce dici, sei proprio vastaso. Certo che ti sento, non stai zitto un attimo!”

E allora perché non mi rispondevi?

“Perché…perché ci avevo paura, pure adesso ce l’ho… mi pareva di essere invasata…che eri il diavolo…e poi non lo sapevo se eri vero o no… cioè, mi pareva che sentivo le voci perché il colpo alla testa mi aveva fatto un poco spostare… e pensavo che se non gli davo retta alle voci alla fine se ne andavano”.

Ma perché, senti altre voci?

“No, solo la tua. Ogni tanto quella della mamma, ma non è vero, sono io che mi parlo da sola come se mi parlasse la mamma, mi dico le cose che mi diceva lei… per sentirmela accanto, ma lei non mi ha mai parlato…”.

Ah! E allora perché dici le voci, al plurale?

“Perché si dice così. Quando uno è pazzo si dice che sente le voci, non una sola, tante… e pure se è una sola si dice che sente le voci”.

Vabbé, come dici tu! Ma anche tua madre è morta?

“Sì”.

E quan…

“Non ne voglio parlare, per favore”.

Ah! Va bene, scusa. Ma com’è che sono… dentro a te?

“Non lo so. E non mi piace”.

E figurati a me se mi piace! Essere intrappolato nel corpo di una picciridda. Ma se propia doveva essere non potevo finire nel corpo… chi sacciu… di uno ricco, famoso… un pezzo grosso! E invece qua m’imprigionarono che è quasi peggio di essere all’Inferno!

Calogero però si sentiva meglio. Era morto, e vabbé, ma almeno non era più solo. E poi il fatto che Rosellina potesse sentirlo e comunicare con lui lo faceva sentire meno morto.

“Che gentile!”

Grazie! Ma… mi pigghi pu culu?

“Guarda che non ti capisco se parli in dialetto”.

Maria Santa e chi sei la baronessa Stoccaminquattro!

“Sei un grandissimo maleducato, buona notte!”

No no! Aspetta… scusami!, scusami!, veramente. Io sono contento che mi senti e mi parli, dico vero. Gr…grazie.

“Prego”.

E adesso che facciamo?

“Facciamo che io me ne torno a letto e cerco di dormire che domani ho scuola, e cerchi di dormire pure tu. Ma… tu dormi?”

Non lo so, ma mi pare di sì, non lo capisco tanto bene.

“Se dormi meglio, se non dormi cerca di stare zitto, per favore”.

Va bene, ma domani parliamo?

“Sì, ma dopo scuola. E mentre sono a scuola devi stare zitto, sempre, e non dire mai le parolacce. Promettilo”.

Ma io mi annoio a stare sempre zitto, minchia!, cinque ore zitto devo stare!

“Ecco, hai detto un’altra parolaccia. Se domani mentre sono a scuola mi parli e mi fai distrarre, o dici parolacce che non so perché dico pure io, e la maestra mi rimprovera di nuovo e chiama papà, giuro, giuro sulla tomba di mia madre che non ti risponderò mai più!”

Ok, ok… va bene! Minc… mamma mia quantu sii camurrusa!… camurrusa si può dire?

“Prometti!”

Prometto, prometto… butt… buttigghiazza ‘ra miseria! Va bene così?

“Insomma, facciamo finta che va bene. Buona notte”.

Rosellina…

“Eh…”

Un’attra cosa, l’urtima, te lo giuro… te lo ricordi il giornale dell’attra volta? Quello dove c’era la mollica? Quello delle cotol…

“Quello dove eri morto? Certo che me lo ricordo. Perché?”

Perché vorrei sapere che cosa c’è scritto… com’è che… sono morto… [...]