venerdì 8 giugno 2012


Un romanzo di Pino Imperatore per Giunti Editore
anno 2012

Recensione di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata su www.thrillercafe.it


Un esordio pazzesco questo di Pino Imperatore, con il suo primo romanzo Benvenuti in casa Esposito.

Un libro godibile, a tratti esilarante, che mantiene viva la sua attenzione per tutte le 265 pagine, senza neanche un normalissimo calo fisiologico.

La genialata di questo romanzo consiste nel narrare di una vecchia e triste piaga sociale, come la camorra, in chiave del tutto innovativa, in altre parole con graffiante ironia. E se cu ‘a camorra nun se pazzeja, è altrettanto vero che uno sberleffo, una smorfia, nell’immaginario collettivo, possono essere più devastanti di tonnellate di saggi, conferenze, tavole rotonde ed altre trombonità del genere, aventi lo scopo di sensibilizzare le coscienze. La camorra è un fenomeno campano così come l’ilarità sta nel sangue di questo popolo a cui appartiene Pino Imperatore, a cui è appartenuto, Totò, Troisi, Eduardo De Filippo. A proposito di Eduardo, ricordate ne L’oro di Napoli. Ricordate ‘u pernacchio.


http://www.youtube.com/watch?v=gkrnK0igAP0
È stato più incisivo lui con un semplice pernacchio, che centomila discorsi sulle prepotenze della nobiltà quale residuo del dopoguerra.

E da Pino Imperatore, napoletano, ideatore e fondatore di un laboratorio di scrittura comica, cosa volevate aspettarvi nel trattare di camorra? Una storia drammatica? Un romanzo di denunzia tipo Gomorra’? … Forse ‘nu pernacchio, ma è già stato fatto, e allora? Allora l’idea. Prendere in giro ‘o sistema dal suo stesso interno, creando la famiglia di Tonino Esposito, orfano di un boss della camorra, che non ha altra ambizione nella vita che essere un “boss” come suo padre. Però Tonino è un incapace. È goffo, sfigato, arruffone. In buona sostanza è un perdente nato. E Pino lo consegna perdente dal primo all’ultimo capitolo, fino a creare un antieroe tragicomico, campionario devastante e magnifico di una Napoli depredata e crudele piena di speranze e contraddizioni.

Scardinare ‘o Sistema, che non ha neanche il piacere di essere nominato per quello che è, come dice lo stesso Pino Imperatore, e che paradossalmente quando non fa notizia, è molto più pericoloso di quando non impugna le armi e non uccide, è compito assai difficile e nessuno ha la pretesa di risolverlo in un romanzo, però ironizzarlo dal suo interno equivale ad un esorcismo. Comico, ma sempre di esorcismo si tratta e allora cosa c’è meglio di ‘nu pernacchio? ‘naltro pernacchio e Tonino è ‘nu pernacchio in faccia alla camorra stessa. Ed è devastante perché viene dal suo interno.

Altro aspetto che colpisce il lettore, indubbiamente da sottolineare, è la gran capacità di Pino Imperatore nel descrivere fin dal primo capitolo, la psicologia dei protagonisti, e di descriverla così bene senza paroloni, situazioni o amminchiamenti vari, da farti entrare come ospite fisso in questa famiglia e farne parte per 260 pagine. Solo gesti, abitudini. Un esempio è già nell’incipit e non aggiungo altro:

Patrizia Scognamiglio coniugata Esposito veniva ritenuta, nel giudizio del maschio medio napoletano, una femmina fresca e tosta. Lei ne era consapevole, e se ne compiaceva.
Quella sera si guardò le unghie delle mani laccate di verde e si convinse di aver scelto la tinta più idonea per chiudere l’anno alla grande. Slacciò un bottone della camicetta per sistemarsi una bretella del reggiseno che a fatica reggeva due poppe quinta taglia naturale, ripassò un’ultima pennellata di fard sugli zigomi e s’avviò verso il corridoio. Gli stivaletti maculati tacco tredici le tormentavano i calli sui mignoli, ma il sacrificio era necessario.
Giunta sulla soglia della camera da pranzo, osservò la truppa e fece un sorriso d’approvazione.
“Tutto in ordine, tutti ai loro posti” pensò scostandosi dalla fronte un ciuffo della chioma ossigenata.
Si avvicinò alla tavola e si sedette alla destra di suo marito Tonino, anni trentacinque sciupati dalla calvizie e da una imbarazzante pancetta, brillantino all’orecchio sinistro, lampadato, ufficialmente disoccupato. E orfano di padre.
Tonino si piegò verso di lei e le sussurrò: “Patty sei la più bella fra tutte le belle”.
“Grazie, amò, tu sì ‘o core mio” rispose Patrizia. E stampò sulla guancia del consorte un cerchio di rossetto color prugna.
Tonino ebbe un fremito. S’era scervellato per l’intero pomeriggio alla ricerca di una frase unica, originale. Ora l’aveva pronunciata, con successo. La cena di San Silvestro poteva avere inizio. Con la famiglia al gran completo.

Si entra subito in casa Esposito. Si vive la famiglia, l’amicizia, il quartiere, il lavoro, la delinquenza e il tutto con estrema naturalezza, dove anche le situazioni anormali diventano spontanee.
Così la camorra con la sua quotidianità è osservata dal suo interno e dissacrata da un perfetto imbecille di nome Tonino Esposito figlio del boss Gennaro, del quale non riuscirà mai ad emulare le gesta.
Pino imperatore miscela alla perfezione, ironia e realismo, criminalità e normalità, umorismo e tragedia con un linguaggio in perfetto italiano, pieno di gag anche esilaranti che donano ai personaggi una napoletanità spontanea e genuina, arricchita dai dialoghi in dialetto partenopeo e dalla descrizione di luoghi e tradizioni fuori dai comuni stereotipi.

“Con un pernacchio così si può fare una rivoluzione” (Eduardo).

recensione di Ivo Tiberio Ginevra



Intervista a Remo Basini



Interervista di Ivo Tiberio Ginevra
a Remo Bassini, autore di Vicolo del precipizio


Caro Remo, questa non è la solita intervista pallosa, dove il lettore già alla quarta domanda ti ha annullato con un clik del mouse, pertanto aspettati ogni tanto qualche domanda idiota del tipo:

[D]: Fai i migliori auguri all’editor che ha bocciato un tuo libro.

[R]: Ci sta che un mio libro venga bocciato: è nel gioco delle parti. Un libro alla fin fine è sempre percezione, quindi accetto anche le bocciature (che fanno male e che ti rovinano la giornata, quando le ricevi). Piuttosto: non reggo gli editor spocchiosi e le case editrici che fingono di leggere i manoscritti. A editor spocchiosi ed editori bugiardi auguro di incrociare nel loro cammino gente più spocchiosa e bugiarda. Punto.

[D]: E allora, cosa ti ha spinto a scrivere Vicolo del precipizio?

[R]: Una frase di mio padre: “E pensare che sembra ieri”.

[D]: Al centro del tuo romanzo c’è Cortona. Cosa ti manca di questa città.

[R]: In questo momento sono a Cortona, è notte fonda, sto fumando un mezzo toscano, sto rispondendo alle tue domande; alle mie spalle c’è una finestra aperta: dentro la mia stanza entra il “silenzio” di Cortona…

[D]: Dai, forza! Sei un toscanaccio, quindi lo puoi fare: qual è lo scrittore che sconsigli di leggere?
[R]: Coelho. E’ banale.
[D]: Tutti i personaggi di Vicolo del precipizio sembrano abbastanza veri. Dove finisce la realtà e inizia la finzione?

[R]: Vicolo del precipizio è come una rappresentazione teatrale: ci sono degli attori (personaggi) che recitano un copione (scritto da me) con storie, alcune vere, altre no. Altre ancora sono rielaborate.

[D]: Anche i fatti descritti nel tuo romanzo sembrano piuttosto veri. Hanno un fondamento nella cronaca?

[R]: Qualcosa sì, molto è legato alla tradizione contadina del cortonese e ai passaparola di padre in figlio.

[D]: Hai tre reincarnazioni a disposizione. Avanti con la prima.

[R]: Vorrei nascere e diventare un bravo pianista.

Vorrei nascere per poi diventare un bravo contadino.

Vorrei nascere per poi diventare un contadino che suona il piano per gli amici.

No, aspetta, è troppo poco, torno indietro. Vorrei rinascere e avere in mente Pessoa:… è ho in me tutti i sogni del mondo.

[D]: In quanto tempo hai scritto Vicolo del precipizio?

[R]: Sette, otto mesi. Più la revisione finale, che è durata altri tre mesi.

[D]: Qual è la maggiore soddisfazione che hai provato scrivendo Vicolo del precipizio?

[R]: Il finale. Il penultimo capitolo. Dove si fondono realtà e finzione. Dove tutto è vero e nulla è vero.

[D]: Ma perché proprio questo titolo: Vicolo del precipizio?

[R]: Era il titolo iniziale, poi abbandonato. A un certo punto mi sono detto: meglio intitolarlo “Di bestemmie e folli amori”. Poi, una notte, riscrivendo alcune pagine ho pensato al precipizio: il mio protagonista – ma con lui anche io e tutti – camminiamo e al nostro fianco abbiamo tanti precipizi invisibili. I nostri tarli, i nostri rimorsi, i nostri sensi di colpa, i nostri fantasmi, la morte…

[D]: Molte donne che hanno letto Vicolo del precipizio sostengono che hai una visione del genere femminile piuttosto arcaica. Vuoi fare qualche precisazione?

[R]: Riconosce di essere così anche Tiziano, il protagonista di Vicolo del precipizio: Io sono così? Le donne che hanno letto il libro ma che mi conoscono non lo pensano (almeno: spero).

[D]: Hai licenza di uccidere. Quali sono le prime 3 persone che manderesti al creatore? Hei, ho detto: “3”

[R]: Nessuno tocchi Caino.


[D]: Quanto c’è del tuo lavoro in quello che scrivi?

[R]: Il giornalismo è tutta un’altra storia. Tutti possono imparare a scrivere un articolo di giornale, che segue uno schema preciso, e che non richiede talento. Raccontare storie è diverso, completamente. Ci sono regole ma si possono ribaltare. Comunque. Ho iniziato a scrivere storie a vent’anni, quando (per scelta) dopo il diploma andai a lavorare in fabbrica. Sono ancora quello lì.

[D]: Qual è la regola che ti dai quando scrivi?

[R]: Nella fase della prima stesura cerco di sorprendermi, raccontando cose che non so. Insomma, sono anche il primo lettore. Nella fase di riscrittura cerco di “Possedere” tutte le parole e le virgole e le cose non scritte, ma che sono nella mia testa. Un libro è come un castello di sabbia: può venire bene, con poche imperfezioni, oppure può rischiare di cadere: basta una parola sbagliata, una parola di troppo, oppure una in meno.

[D]: A cosa non puoi rinunciare quando scrivi?

[R]: Al silenzio della notte. Mi sono abituato così, negli anni.

[D]: Ho letto che sei supertifoso della Fiorentina. Fai la fanta-formazione viola più forte di tutti i tempi. Comincio io: 1) Superchi in porta…

[R]: Beatrice terzino destro, Galdiolo e Passerella centrali, Roggi terzino sinistro; a centrocampo Dunga davanti alla difesa, poi Claudio Merlo, Nevio Scala e Antogononi dietro le due punte, Batistuta e Jovetic.

[D]: Che tipo di scrittore sei?

[R]: Mi metto sempre in discussione, e quindi sono uno scrittore tormentato.

[D]: Puoi darci un’anticipazione sul romanzo che stai scrivendo?

[R]: Ne ho in mente due. Quello che dovrei scrivere è la storia di un portiere di notte, che è un lavoro che ho fatto e che a volte rimpiango. Facendo il portiere di notte ho dato parecchi esami all’università, ho imparato ad amare il jazz, ho incontrato storie incredibili.

[D]: Scriverai mai un thriller?

[R]: Sì, e sarebbe il secondo dopo La donna che parlava con i morti, che mi fu pubblicato da Newton Compton. La protagonista sarebbe la stessa: l’investigatrice privata Anna Antichi. Insomma. o il portiere di notte o Anna Antichi la vendetta: uno dei due, prima che arrivi l’estate, dovrebbe decollare. Così passerò le ferie a scrivere.


[D]: Scusa, ma adesso devo riscattarmi dalle domande cretine con una intelligente e sensibile.
Cosa diresti agli Stati Uniti ed ai principali governi europei sulla loro insensibilità nei confronti della tragedia che sta lacerando il popolo della Siria? Trova quelle belle parole che solo un grande scrittore come te può dire i questi frangenti, per smuovere le coscienze sociali.

[R]: Qualcuno, da tempo, va dicendo che l’intero pianeta è nella mani dei grandi banchieri. Decidono chi mettere al potere negli Stati Uniti e in Italia e in Uganda, dove far scoppiare guerre, fregandosene che muoiano di fame dei bambini, mica sono figli loro. Sogno che questa gente venga spazzata via dal vento, e sogno anche, io che sono agnostico, un Dio, e una resa dei conti.
Temo però che non ci sia nessun vento e nessun Dio, che è morto, si sa.

intervista di Ivo Tiberio Ginevra pubblica su www.thrillercafe.it

Pensa un numero



Autore: Anders Bodelsen
Editore: Edizioni Iperborea
Il romanzo in questione è datato 1968,
ma è arrivato in Italia solo nel 2011

Trama in sintesi
Piccolo-borghesi si nasce. Criminali si diventa. Una fredda sera di dicembre, nei sobborghi di Copenaghen, Flemming Borck, prima di lasciare lo sportello della banca dove lavora da lunghi, monotoni anni e tornare alla sua grigia vita da scapolo senza speranze, scopre in maniera del tutto casuale il piano di un rapinatore che da giorni fa la posta al suo sportello travestito da Babbo Natale. E se fosse l’occasione della sua vita? Quando arriva il fatidico momento, il cassiere non si fa trovare impreparato e grazie a un geniale stratagemma intasca il grosso del bottino. Né la banca, né la polizia, né i colleghi sospettano di essere stati raggirati dall’inedito malvivente, ma purtroppo Sorgenfrey, lo squilibrato rapinatore, sì. Scatta così una serrata caccia ai ladri tra doppi giochi e tripli inseguimenti, in cui Flemming, pericolosamente affiancato dall’interessata femme fatale Alice, scopre di aver superato un rischioso confine, e di non poter più tornare indietro.

Recensione di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata su www.thrillercafe.it

Odio il Natale. Odio profondamente la sua falsa atmosfera festosa, e soprattutto odio soggiogarmi agli obblighi dettati dal consumismo. Per questo e solo per questo regalo a tutti dei libri. Anche a chi non li legge e con gran piacere, li regalo a chi li odia, così almeno capiscono, che a me dei loro patetici pensierini di Natale, non me ne frega un cazzo.

I libri li scelgo sempre di autori italiani, specialmente se non sono famosi e se la casa editrice è una medio piccola che fatica a restare a galla nei gorghi dei mostri americanizzati supermarket della cultura.

All’improvviso i miei occhi vedono un libro con la copertina di un accattivante verde azzurrato e soprattutto con un bello zampone di Babbo Natale disteso su un tavolo autoptico con la sua bella targhetta identificativa attaccata allo stivale. È di un certo Anders Bodelsen, danese, classe 1937. Il libro poi è del 1968 e il titolo Pensa un numero, non mi piace. In teoria incarna tutti i requisiti di una scelta che non avrei mai fatto, ma quel piedone morto di Babbo Natale è un’esca appetitosa. Il messaggio comunicativo che incarna il regalo fatto a chi detesto, e incontro solo a Natale è veramente troppo bello. Mi decido. Compro tutte e sei le copie a disposizione, ma una la tengo per me.

Speravo leggere di Babbi Natali morti ammazzati, torturati nel peggior modo possibile e invece non ce n’é manco uno ucciso, anzi mi capita pure di affezionarmi all’unico presente nel romanzo perché non è come tutti gli altri. È speciale. È unico, pensate che va in banca tutto vestito di rosso, con un bel barbone bianco e al cassiere passa un foglio di carta con su scritto: QUELLO CHE HO IN TASCA E’ UNA PISTOLA. DAMMI TUTTO IL DENARO CHE HAI IN CASSA SENZA ATTIRARE L’ATTENZIONE. Ora ditemi voi come faccio a non amare questo meraviglioso Babbo Natale. Ma c’è anche di più. Il cassiere della banca, un tale anonimo e insignificante essere umano, che corrisponde al nome di Borck, intuisce della rapina e pensa bene di fottere lo stesso ladro e soprattutto, la sua banca.

Il mix è senza dubbio originale. I suoi personaggi credibili e ricchi di un tratteggio psicologico magistrale. L’azione non c’è perché incentrata nella conservazione e successiva spendita del danaro, senza alterare il ritmo di vita per non destare sospetti, dove tutto scorre inesorabile e lento verso una soluzione finale con un colpo di scena davvero paradossale.

Il libro è godibile. Ben curato nelle atmosfere del mio caro aborrito clima natalizio e ottimamente congegnato nella trama. Bork con i suoi inutili colleghi e gli altri personaggi dell’opera, sono descritti con un umorismo raffinato e introspettivo davvero degno di nota.

La mancanza dell’azione, o meglio, della doverosa tensione, che è l’elemento principe della letteratura del genere, è proprio la sua inusuale e assurda forza del romanzo. L’interesse nella lettura non viene mai meno e canalizza il lettore, con lentezza verso la soluzione finale.

Pensa un numero, me lo sono bevuto in un giorno. Divertendomi. Anders Bodelsen è senza dubbio un grande scrittore e mi è maledettamente dispiaciuto di aver regalato un libro così bello a chi di sicuro non lo leggerà mai….ma così è la vita. Al momento ve lo consiglio.

recensione di Ivo Tiberio Ginevra

Duri di cuore


Autore: Alfredo Colitto
Anno: 2008
Editore: Perdisa


recensione di IVO TIBERIO GINEVRA
pubblicata su  www.thrillercafe.it

Duri di cuore è un romanzo breve, intenso e perfetto.

La storia è semplice. Carmine, una persona che ha conosciuto e praticato la violenza, vuole ricostruirsi una nuova vita tagliando i ponti con il suo doloroso passato. Sceglie di vivere nella grande e opulenta Bologna. Lavora in una trattoria. Si crea un’esistenza normale, ma la violenza lo perseguita. Come dice lui stesso “Si rifiuta di scomparire dalla mia vita. Le ho sacrificato tutto quello che avevo, perché mi lasciasse in pace. Non è servito a niente. Ho smesso di praticarla, e ho dovuto subirla. Ho creduto che fosse il prezzo che mi toccava pagare, e l’ho pagato in silenzio, senza reagire. Immaginavo che quello che mi arrivava addosso fosse come acqua in una bottiglia: bastava aspettare, e prima o poi la bottiglia si sarebbe svuotata. Invece la violenza è un mare oscuro.” La violenza ha un volto e un nome: Vlastar. Un delinquente albanese, capo indiscusso di una banda dedita al traffico di droga, prostituzione, estorsioni ed altre attività criminali. Un tipo davvero poco raccomandabile. Uno che non si dovrebbe mai incontrare nella vita. Chi va contro di lui va a morte certa, lo sanno bene le prostitute che hanno tentato di ribellarsi al suo giogo e le donne che, invece, sono state costrette a prostituirsi. Allora Carmine, che indubbiamente non è uno sciocco, perché decide di mettere a repentaglio la sua vita? Ma è ovvio: per amore. L’amore di Serena. “Amor, c’ha nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte che, come vedi, ancor non m’abbandona“. L’amore. Il motore di tutte le cose…. Serena è vittima di Vlastar. Per lei Carmine rischierà tutto e tornerà a praticare la violenza.

Ma in Duri di cuore non c’è solo l’amore. C’è anche un altro motore. L’altro: “l’odio.” E allora la macchina diventa perfetta perché nella camera di combustione l’odio e l’amore generano violenza e vendetta, speranza e gioia. Vita e morte. Morte e Vita. “Solo pochi mesi fa avevo ancora sogni, speranze e ottimismo. La violenza che mi segue come un’infezione mi ha portato via tutto. Ma non si prenderà Serena. A qualsiasi costo.”

Storie così ne abbiamo sentite parecchie e con tranquillità posso dire che, finale a parte, non c’è nulla di originale, ma è innegabile che per come è scritto questo breve romanzo, devo sprecare tutti i miei più onesti aggettivi per Alfredo Colitto, indubbiamente uno dei migliori scrittori italiani dell’ultimo decennio.

La storia è narrata con uno stile personale inconfondibile e completo. Senza alcuna banalità. Senza inutili orpelli. Senza alcun ricorso alla volgarità per renderlo più nero. Con un ritmo veloce, essenziale, convincente, calibrato, dinamico, asciutto, elegante, cinico, ansiogeno, avvolgente… e senza troppi aggettivi, descrizioni di luoghi, e amminchiamenti psicologici.

Voglio ripeterlo. Duri di cuore è un romanzo breve, intenso e perfetto.

Ho riletto questa recensione solo due giorni dopo e in cuor mio mi è sembrata un po’ ruffiana. Generalmente non si usano termini così forti come “romanzo perfetto“, di conseguenza volevo modificarla per evitare che qualcuno pensasse male della mia onestà intellettuale. Il risultato di tale correzione è stato di gran lunga peggiore rispetto alle mie iniziali buone intenzioni, perché ho concluso con un rilancio. Duri di cuore, non solo è perfetto, ma dovrebbe essere studiato come romanzo di riferimento nei corsi di scrittura formativa per aspiranti scrittori.

Adesso vi tedio un po’, ma ho bisogno di spiegarmi meglio con un cappello introduttivo.

Per puro diletto scrivo dei romanzi senza alcuna pretesa e ovviamente tengo in evidenza delle regole fondamentali di scrittura creativa. Le stesse regole le ricerco anche quando leggo l’opera di un qualsiasi scrittore. Nel tempo mi sono amminchiato con queste ricerche e tutte le mie letture si sono trasformate in studio, snaturando alle volte lo stesso piacere di leggere.

Come riferimento nella scrittura del genere thriller cerco di attenermi alle 10 regole di Brian Garfield, scrittore e sceneggiatore americano, conosciuto soprattutto per aver ideato la serie del Giustiziere della notte, portata al successo da Charles Bronson.

Sono 10 principi essenziali per scrivere un ottimo thriller e con molto piacere li ritrovo tutti e 10 in Duri di cuore.

Adesso vediamo come queste regole sono state applicate da Alfredo Colitto nel suo romanzo (userò in grassetto le stesse parole di Garfield):

1.   Iniziate con l’azione; spiegherete in un secondo momento. Nel capitolo 1 mettere in pista lo spettacolo. È proprio quello che succede. Serena entra nella trattoria per uccidere e non c’è alcuna spiegazione del perché;

2.   Rendete le cose difficili per il vostro protagonista. Trovategli un degno antagonista. E Colitto inventa Vlastar, un delinquente albanese della peggiore specie che non ha alcun rispetto per la vita umana. Peggio di così Carmine non poteva trovare;

3.   Pianificate in anticipo, sarete ripagati più tardi, pertanto nessuna cavalleria in soccorso o creazione di nuove circostanze per risolvere il dilemma del protagonista. Anche in questo caso Colitto non fa ricorso ad alcun salvagente, e dal momento che Carmine si è buttato dentro la storia farà sempre ricorso a se stesso ed alle proprie forze per uscirne vincitore;

4.   Date l’iniziativa al protagonista. La situazione di pericolo in cui Carmine si è andato a cacciare, non gli lascia altra via di uscita se non combattere contro quel terribile delinquente di Vlastar che lo sta braccando. Il nostro uomo è costretto all’azione per non morire;

5.   Date al protagonista una motivazione personale. Senza alcuna esagerazione e con ottimo equilibrio, lo scrittore fa vivere al protagonista un travaglio interiore che lo spinge a reagire mettendosi in discussione per ottenere quello che vuole (salvarsi la vita e cambiare la sua esistenza con l’amore di Serena);

6.   Date al protagonista uno stretto limite di tempo, e quindi accorciatelo. È proprio quello che succede. Il tempo è dosato con sapienza ed in ogni caso è breve. Tutto in una notte. L’azione ha un ritmo incalzante a beneficio della suspense in crescita costante;

7.   Scegliete il vostro personaggio in base alla vostre capacità. Anche in questo caso Colitto centra lo scopo. Carmine come nella migliore tradizione dei romanzi di suspense, è un uomo comune anche se con un mistero rinnegato alle sue spalle. Cede all’idealismo (amore) ed è costretto ad agire gioco forza. Non scordiamoci che il protagonista non è un agente segreto o un super eroe, ma un uomo normale, quindi lo scrittore si è mosso bene in base alle sue capacità ottimali. Come esempio estremo per la credibilità del protagonista in un romanzo possiamo citare La spia che venne dal freddo di John le Carré, dove le spie, gli agenti segreti e il clima politico sono descritti con eccellenza, proprio perché le Carré aveva lavorato per anni presso Secret Intelligence Service. Colitto o un altro autore, non potrebbero mai narrare meglio dello scrittore inglese un romanzo tipo La spia che venne dal freddo con personaggi e descrizioni altrettanto credibili;

8.   Conoscete la destinazione prima di partire. Duri di cuore ha un ottimo finale, incalzante e imprevedibile. Mantiene fede a tutte le aspettative create dallo scrittore che con certezza assoluta ha pianificato l’azione finale prima ancora di iniziare a scrivere, perché altrimenti non avrebbe potuto sviluppare la storia che vive proprio per questi colpi di scena conclusivi;

9.   Non correte dove gli angeli hanno paura di camminare. Nel senso che, non bisogna mai avventurarsi a scrivere una storia su terreni sconosciuti o modaioli, se non si hanno le giuste conoscenze e capacità. Colitto non ha scritto un western, o fantasy. Colitto ha scritto quello che la sua esperienza e le sue competenze gli permettevano di scrivere pertanto è arrivato ad un ottimo livello narrativo perché rimasto nei suoi sentieri;

10.   Non scrivere nulla che non vorresti leggere. In conclusione lo scrittore ha narrato una storia del genere noir, che è quello che ama di più senza fare ricorso a forzature come volgarità, parolacce, bestemmie o sesso esplicito, perché non fanno parte della sua stessa personalità, sapendo di essere altrettanto credibile senza esagerare in forzature.

Adesso credo (se avete avuto la pazienza di leggere questa recensione fino in fondo) che abbiate capito perché mi sono espresso con la frase Duri di cuore è un romanzo breve, intenso e perfetto, e voglio tacere sugli ottimi meccanismi di Sorpresa e Suspense, altrimenti per la lungaggine del mio scritto, oltre a farmi odiare, sono sicuro che non mi leggereste mai più.

recensione di Ivo Tiberio Ginevra
Riferimenti bibliografici

Scrittura thriller su www.thrillecafe.it

Scrittura creativa su www.latelanera.com