lunedì 27 febbraio 2012

MEGLIO NON CHIEDERE

Autore: Donald Westlake

Editore: Marco Tropea

Anno: 1996

La trama

John Dortmunder, artista del crimine e ladro di onorevole carriera, ne ha viste tante e tante ne ha fatte. Ma questa volta l’incarico che ha accettato è davvero strano: si tratta di recuperare un femore. Non uno qualunque, si capisce, ma quello che ottocento anni fa sosteneva la nobile figura di una casta giovanetta, cui toccò l’orribile sorte di essere uccisa e mangiata dai suoi familiari, e il raro privilegio di essere poi beatificata. E adesso due minuscoli paesi dell’Europa orientale si disputano quel che resta delle sacre spoglie mortali di Santa Ferghana. Il problema è che all’ONU c’è solo un posto libero e a decidere quale tra le due nazioni l’occuperà è un potente prelato cattolico. Inutile dire che il paese capace di assicurarsi la santa reliquia si troverebbe in posizione decisamente avvantaggiata. Sulle prime Dortmunder è un po’ scettico di fronte alle proposte dell’ambasciatore di uno dei due paesi, ma poi non riesce a resistere: un piccolo ritocco alla paga, ed eccolo chiamare a raccolta la sua banda di sbandati per gettarsi in questa nuova impresa che lo trascinerà nel bel mezzo di un incidente internazionale di dimensioni epiche.

Recensione di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata su www.thrillercafe.it

La scrittura di Westlake è semplice, diretta e scorrevole. La trama è ottimamente congegnata, con logica, sapiente e geniale. L’umorismo che verga ogni pagina non è mai invasivo ed è sempre appropriato. Tutti i personaggi sono descritti in modo singolare. Hanno un tratteggio psicologico completo, perfetto e realistico. Dortmunder (il protagonista) e la sua gang di ladri, pagina dopo pagina, ti entrano nel sangue con la loro sfortuna e con i loro elaborati piani criminali, ma più d’ogni altra cosa affascina la filosofia commerciale del furto, propria di questa banda di newyorchesi originali. Il furto che è inteso come attività imprenditoriale, gode sempre di un’organizzazione minuziosa, ma purtroppo, e qui sta il bello, la banda di Dortmunder non riesce mai ad evitare la malasorte, unica variabile costante in questa, come nelle loro altre imprese.
A Westlake va riconosciuto il merito di avere introdotto l’umorismo nel genere noir. Lui stesso nel 1965 soleva dire di non essere più capace di scrivere con la serietà propria del genere, addirittura affermava di divertirsi con le sue trovate esilaranti, e proprio questa ironia presente nel continuo pericolo che sovrasta i comportamenti della banda di ladri, rende più credibile e reali le azioni delittuose del gruppo.
Nel romanzo Meglio non chiedere tutto è ben fatto. Nessuna azione è lasciata al caso e ogni cosa ha una logica nella penna dello scrittore americano. Tutto quadra perfettamente come in un meccanismo d’alta precisione e ciò fa cogliere appieno la gran capacità narrativa di Westlake, che lo proclama di diritto fra gli scrittori più talentuosi del continente americano.
Leggere per credere.

Un personaggio del romanzo

Trascrivo un tipico passo della scrittura di Westlake, mentre presenta un personaggio; in questo caso si tratta di Tiny Bulcher uno dei protagonisti del romanzo Meglio non chiedere.
"Entrando nella stanza, Dortmunder fece un cenno con il capo all’oratore e chiuse la porta dietro di sé con il sedere. L’oratore che sembrava una collina portata in vita da una animazione elettronica, era un mostro umano – o un uomo mostruoso – chiamato Tiny (come dire microbo) Bulcher da qualcuno dotato di un umorismo macabro, o di buone gambe, oppure di entrambe le cose. In compagnia di esseri umani di misura e stazza normali, Tiny Bulcher sembrava…diverso. Ricordava alla maggioranza delle persone quella cosa che credevano vivesse di notte nel ripostiglio della loro cameretta, quando erano piccoli piccoli, e si svegliavano, ed era proprio assolutamente buio in tutta la casa, e restavano a letto sapendo di quanto fossero piccoli e la porta del ripostiglio era l’unica cosa nell’intero vasto universo che potevano vedere, e sapevano, che proprio dentro a quel ripostiglio, in quel momento, ad allungare la mano verso la maniglia, c’era… Tiny Bulcher.
“Ciao, Tiny” lo salutò Dortmunder che, attraversata la stanza per andare a sedersi al tavolo accanto a un Andy Kelp distaccato, piazzò la bottiglia di Burbon tra di loro.
“Ciao Dortmundet” rispose Tiny, con la voce simile al motore di un idrovolante con problemi alla guarnizione di tenuta. Ridacchiò un suono simile a un crocchiare di ossicini, commentando: “Mi dicono che sei andato a pesca. Solo che il pesce puzzava".
Curiosità

Il ladro Dortmunder, personaggio carismatico dei romanzi degli “ineffabili cinque” è stato interpretato in una pellicola dall’attore americano Robert Redford (The hot rock) e lo stesso Westlake fu sorpreso nell’apprendere questa notizia. In effetti, anche se non ho visto il film mi riesce difficile vedere questo premio Oscar nei panni di un delinquente avvilito, rassegnato, dall’aspetto piuttosto comune e al contempo dotato di trovate geniali. Al suo posto avrei meglio immaginato il nostro Gigi Proietti e meglio ancora il vecchio Vittorio Gassman, prototipo scassato del capobanda de I soliti ignoti. Chissà se Peppe “er Pantera” (Vittorio Gassman), Mario (Renato Salvatori), Michele “Ferribotte” (Tiberio Murgia), Tiberio (Marcello Mastroianni) e Capannelle (Carlo Pisacane), i nostri cinque del film diretto da Monicelli, chissà se non hanno ispirato le gesta degli ineffabili cinque di Westlake. Ma una cosa è sicura: per quanto la fantasia dello scrittore americano sia stata brillante ed infinita, e per quanto bravi sono stati gli attori del cinema americano, nessuno è mai riuscito a inventare un personaggio, incredibile e geniale come il nostro Dante Cruciani (Totò) mentre spiega come scassinare una cassaforte a quella scalcagnata banda del miglior cinema italiano che abbiamo avuto.
Ivo Tiberio Ginevra

martedì 14 febbraio 2012

LA SORTE



Francesco Zaffuto
Commedia in due atti

recensione di Ivo Tiberio Ginevra

La sorte è un riuscito esempio di come si coniugano in una commedia, il realismo e la metafisica fino al punto di rendere tutti i personaggi astratti e vivi al tempo stesso. Il suo messaggio, velato da ironia, proposto, infatti, sotto la forma della commedia, è drammaticamente attuale e mette in primo piano la tragedia della giustizia e del potere, proponendoci con una semplice trama, la commistione malata fra politica e magistratura, con il logico mancato rispetto dei diritti e della dignità umana.

Per raccontarci questo, l’autore sceglie uno stile semplice, addirittura essenziale, dove neanche una parola è messa a caso, dove la morale è sconfitta da un personaggio grossolano, ma potente, con chiari riferimenti al nostro ex capo del governo (Berlusconi) e ad altro ancora più ex di lui (Craxi). In questa commedia si vive il degrado dell’etica, anzi la sua stessa morte.
 
La sorte è un’eccellente opera teatrale di pubblica denunzia, sotto forma allegorica, tanto cara a Pirandello e Rosso di San Secondo, quest’ultimo compaesano del nostro Francesco Zaffuto, chiaro segno che la nostra terra continua a produrre pregevoli frutti letterari.

L'opera è integralmente fruibile in rete al link http://groviglidiparole.blogspot.com/2011/10/la-sorte.html


martedì 7 febbraio 2012

PERCHE' NO

CRISTINA ZAGARIA
EDIZIONI PERDISA POP
ANNO 2009

 
Recensione di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata su thrillerpages.blogspot.com

Ho sempre avuto un’attrazione per quei libri di poche pagine che all’interno racchiudono grandi contenuti, pertanto, se da naufrago mi aggiro negli scaffali di una libreria alternativa e mi trovo dinanzi ad una copertina accattivante, con i suoi bei colori e una veste grafica ricercata, una casa editrice che è sinonimo di serietà e avanguardia, un titolo intrigante, e per finire una scrittrice che è anche una gran bella donna… resto senza nuove scelte e procedo subito all’acquisto. Eccovi spiegato come il libro di Cristina Zagaria è finito nelle mie mani con quasi tre anni di ritardo, ma in compenso Perché no, l’ho letto e riletto fra sabato e domenica.
E sono stato subito costretto a rileggerlo, perché le sue cento pagine me le sono bevute in un sorso e non ho avuto il piacere di godere appieno di tutti quei meravigliosi particolari che lo fanno un libro eccellente, insieme alla sua costruzione, semplice e concatenata al tempo stesso.
Il romanzo è ispirato da un fatto di cronaca realmente accaduto nei vicoli di Napoli (una maestra di scuola elementare è rapinata per strada da due suoi ex alunni) e tutto parte intorno alle otto di mattina, quando Daniele, un ragazzino di tredici anni del rione Sanità, decide di marinare la scuola insieme al suo coetaneo Francesco, perché devono fare una cosa importante. Devono diventare ommini. Uomini! A tredici anni. E per far questo devono compiere una rapina perché Mario ha garantito a Francesco che se il colpo va bene, ci presenta gli amici di suo padre, ci fa entrare nel sistema e cominceremo ad avere dei compiti. All’inizio poca roba, ma saremo leali, affidabili e presenti, sarà tutto in discesa. Lui dice che è un bene cominciare quando si ha la nostra età. Sono due i vantaggi. Per la legge non siamo adulti, quindi abbiamo molte più libertà e ai grandi serviamo. E poi perché, quando arrivi a diciotto anni, hai già una carriera, un curriculum, non sei l’ultimo arrivato.
Da contro altare a queste figure negative c’è la vittima, la maestra Adriana, con un marito in cassa integrazione nello stabilimento Fiat di Pomigliano D’Arco ed un padre allettato a causa di una malattia incurabile. Una vita, la sua, fatta di lavoro, affetti sinceri e sacrifici.
Perché no, è un racconto verista, dove si respira l’odore della povertà e il sapore delle espressioni dialettali, travolti da un ritmo narrativo dettagliato e intenso dato proprio dalla brevità del racconto. L’azione stessa si compie in una sola giornata, anzi, in meno delle canoniche 24 ore e questo fa aumentare di molto il pathos della lettura.
Perché no, non è solo un semplice romanzo di denunzia sociale sulla delinquenza minorile di Napoli, non è solo la storia di una rapina andata a male, ma è una radiografia completa e impietosa del malessere di una città, narrata senza alcun taglio giornalistico e soprattutto senza alcuna retorica, senza alcun canone stereotipato, senza la solita mercificazione dei problemi partenopei. Solo la storia, nuda e cruda, che ti colpisce dritta al cuore o se preferite al cervello. Che ti lascia partecipare senza aver drammatizzato il racconto, perché tutto è la lucida fotografia non del singolo fatto, non di una sola città, ma di un popolo intero, perché Napoli siamo tutti noi.
Noi non possiamo essere indifferenti a questa tragedia giornaliera e la scrittrice fa vivere il nostro disinteresse trasportandoci come personaggi all’interno della storia, ora come “una donna che stava uscendo da un fioraio, che rientra dentro”. Oppure “Poco più avanti” come “una coppia di anziani che rimane ferma sulla soglia del portone. Né dentro né fuori”. Ora “Sull’altro marciapiede” dove “vedo due signore affrettare il passo”.Oppure su “Uno scooter” che “passa a cinque centimetri da noi”. “C’è gente in giro che cammina accanto a lei”.
Indifferenza.
E peggio ancora è quando la Zagaria ci fa partecipi del dramma come “il fioraio” che “si volta e scompare nel negozio”. Oppure come “la coppia di anziani che finalmente si muove dalla soglia del portone e s’incammina verso la scuola, con la testa alta e lo sguardo fisso in avanti”.
La noncuranza signori. Ma riflettete bene su questa noncuranza. Se volete chiamatela pure indifferenza, disinteresse, insensibilità, ma non scordate che questa cosa non vive solo a Napoli.
Per finire leggo dalla biografia di Cristina Zagaria che non è napoletana, e non posso fare a meno di complimentarmi con lei, per come ha fatto parlare le strade di Napoli e soprattutto per come i suoi odori si sono trasformati in schiaffi.
Brava.
Ivo Tiberio Ginevra

TU SEI IL MALE

Roberto Costantini

Marsilio Editore

Anno 2011


RECENSIONE DI IVO TIBERIO GINEVRA
pubblita su www.thrillercafe.it

Io sono sicuramente una delle ultime voci che si aggiunge al coro di lodi a Roberto Costantini, pertanto, visto che pubblico e critica sono unanimemente d’accordo, scrivo una semplice recensione focalizzando quelle che secondo me sono le caratteristiche migliori espresse dallo scrittore.
Tu sei il male è un ottimo romanzo. La costruzione è perfetta. La trama gialla buona. La scrittura fluida. Il tratteggio dei personaggi ed in particolare del protagonista, il commissario di PS Michele Balistreri, è davvero eccellente. L’ambientazione nelle due Italie del 1982 e del 2006 molto accurata. In sintesi un gran bel romanzo, che forse per diventare indimenticabile, avrebbe dovuto avere, una sfoltita di almeno un centinaio di pagine per evitare un calo di tensione nella parte centrale del romanzo (troppi personaggi e troppe fila da riannodare soprattutto nel finale).
Personalmente credo che il successo stia tutto nella bravura di Costantini che ci ha saputo far vivere, tramite una lucida analisi psicologica, la trasformazione del protagonista; da strafottente, cinico, superficiale, erotomane e arrivista giovane commissario di polizia, ma del tutto insensibile al fascino dei potenti, a quello depresso, solitario, calcolatore, onesto ed anche malato, senza dubbio più terreno, comprensibile e vicino alla realtà dei nostri giorni. Non era facile rendere partecipe il lettore di questa metamorfosi, e l’operazione è perfettamente riuscita. Per far questo Costantini ha dovuto curare l’ambientazione della Roma dell’82 e di quella successiva del 2006, collegandole ai trionfi della nazionale di calcio in coppa del mondo. Da queste due Italie viene fuori la minuziosa foto di una civiltà impietosa e arrogante. Razzista e servile. Arruffona, bigotta e potente nei giochi di palazzo. Mirabilmente descritta e vissuta da un Balistreri che è uomo del nostro tempo, in particolare dei cinquantenni.
Una cosa è certa: il commissario Michele Balistreri, con un solo romanzo, è entrato con prepotenza a far parte di quelle mitiche figure di commissari del nostro immaginario collettivo, le cui gesta aspetteremo con impazienza, ma con un deciso calo di pagine, perché 700, sono decisamente troppe per un giallo/thriller.
Una curiosità. Mi sono accorto, da gran malato di football nazionale e internazionale, che quasi tutti i personaggi del romanzo portano il nome di calciatori noti e meno noti dei vari campionati di calcio. Un esempio? Hagi, Mircea, Lacatus, Lato, Florean, Iordanescu, Floris, Vasile, Marius, Greg, Orlandi, Alessandrini, Pasquali, eccetera eccetera. Addirittura uno di questi si chiama Geoana, che nel contesto del discorso cela, magari una fede calcistica nel Genoa. Ora mi dico: Sarà una semplice coincidenza? Saranno messaggi subliminali? O forse la realtà è che noi giallisti ci stiamo amminchiando il cervello a furia di cercare sempre un indizio nascosto?
Ivo Tiberio Ginevra

Trama

Roma, 11 luglio 1982. La sera della vittoria italiana al Mundial spagnolo Elisa Sordi, giovane impiegata di una società immobiliare del Vaticano, scompare nel nulla. L’inchiesta viene affidata a Michele Balistreri, giovane commissario di Polizia dal passato oscuro. Arrogante e svogliato, Balistreri prende sottogamba il caso, e solo quando il corpo di Elisa viene ritrovato sul greto del Tevere si butta a capofitto nelle indagini. Qualcosa però va storto e il delitto rimarrà insoluto.
Roma, 6 luglio 2006. Mentre gli azzurri battono la Francia ai Mondiali di Germania, Giovanna Sordi, madre di Elisa, si uccide gettandosi dal balcone. Il commissario Balistreri, ora a capo della Sezione Speciale Stranieri della Capitale, tiene a bada i propri demoni a forza di antidepressivi. Il suicidio dell’anziana donna alimenta i suoi rimorsi, spingendolo a riaprire l’inchiesta.
Ma rendere finalmente giustizia a Elisa Sordi dopo ventiquattro anni avrà un prezzo ben più alto del previsto. Balistreri dovrà portare alla luce una verità infinitamente peggiore del cumulo di menzogne sotto cui è sepolta, e affrontare un Male elusivo quanto tenace, che ha molteplici volti uno più spaventoso dell’altro.