martedì 8 marzo 2011

La storia della bambola


Giampaolo, il mio amico di Fb, mi ha inviato questo racconto di Paul Auster tratto dalle “Follie di Brooklin”.

È la storia di Kafka e la Bambola. Pare che sia vera. Alcuni critici ne parlano. Se vi piace recentemente è uscito un libro di Jordi Sierra I Fabra Jordi “Kafka e la bambola viaggiatrice” edito da Salani.

“Una lettura obbligata per chi ama le belle storie e indispensabile per coloro che non smetteranno mai di leggere Franz Kafka.”


 
La storia della bambola

E’ l’ultimo anno della vita di Kafka, il quale si è innamorato di Dora Diamant, una ragazza di diciannove o vent’anni che è fuggita dalla Polonia lasciando la sua famiglia di ebrei chassidici e ora vive a Berlino. Ha la metà dei suoi anni, ma è lei che gli dà il coraggio di andarsene da Praga … una cosa che lui desiderava da tempo … e diventa la prima e unica donna con cui Kafka abbia convissuto. Arriva a Berlino nell’autunno del 1923, e la primavera dopo muore, però quei pochi mesi sono probabilmente i più felici della sua vita. Malgrado il deperimento della salute. Malgrado i problemi sociali di Berlino: scarsità di generi alimentari, violenza politica, l’inflazione più alta della storia tedesca. Malgrado la certezza di avere ancora poco da vivere.

Tutti i pomeriggi Kafka va a fare una passeggiata nel parco. Generalmente lo accompagna Dora. Un giorno incontrano una bambina in lacrime, che singhiozza da farsi scoppiare il petto. Kafka le chiede cosa c’è che non va e la bambina risponde che ha perso la sua bambola. Lui subito comincia a inventare una storia per spiegarle l’accaduto. «La tua bambola è andata a fare un giro», le dice. Lei gli chiede: «E tu come lo sai?» «Perché mi ha scritto una lettera», le risponde Kafka. La bambina sembra sospettosa. «Ce l’hai qui?» gli domanda. «No, mi spiace, – fa lui. – L’ho lasciata a casa per sbaglio, ma domani la porterò con me». E’ cosi convincente che la bambina non sa più cosa pensare. Possibile che quell’uomo misterioso stia dicendo la verità?

Kafka torna subito a casa per scrivere la lettera. Si siede a tavolino e Dora, osservandolo mentre scrive, nota la stessa serietà, la stessa tensione che mostra quando sta componendo una sua opera. Non vuole prendere in giro la bambina. Questa è una vera fatica letteraria, e lui è ben deciso a compierla nel migliore dei modi. Se riuscirà a presentare alla bambina una bugia bellissima, e convincente, sostituirà la bambola perduta con una realtà diversa: falsa, forse, ma veritiera e credibile secondo le leggi della narrativa.

L’indomani Kafka si precipita al parco con la lettera. La bambina lo sta aspettando, e dato che non ha ancora imparato a leggere gliela legge lui ad alta voce. La bambola è molto spiacente, ma si è stancata di vivere sempre con le stesse persone. Ha bisogno di muoversi e di vedere il mondo, di fare nuove amicizie. Non è che non voglia bene alla bambina, però desidera cambiare aria, perciò dovranno separarsi per qualche tempo. Infine la bambola promette che scriverà alla bambina ogni giorno e la terrà al corrente di quello che sta facendo.

Già è incredibile che Kafka si sia preso il disturbo di scrivere quella prima lettera, ma ora si dedica al progetto di scriverne una nuova ogni giorno … al solo scopo di consolare la bambina, che fra l’altro per lui è una perfetta estranea, un esserino incontrato per caso un pomeriggio in un parco. Che tipo di uomo fa una cosa simile! E’ andato avanti per tre settimane. Tre settimane. Uno degli scrittori più geniali che siano mai vissuti ha sacrificato il suo tempo … un tempo sempre più scarso e prezioso … per comporre le lettere immaginarie di una bambola smarrita. Secondo la testimonianza di Dora scriveva ogni frase con una cura maniacale del dettaglio, e la sua prosa era precisa, spiritosa e avvincente. In parole povere, era la prosa di Kafka, e lui per tre settimane andò tutti i giorni al parco e scrisse ogni volta una nuova lettera alla bambina. La bambola diventa grande, va a scuola, conosce altre persone. Continua a ripetere alla bambina che le vuole bene, ma allude a certe complicazioni che le rendono impossibile il ritorno. A poco a poco Kafka prepara la bambina per il momento in cui la bambola sparirà dalla sua vita per sempre. Si spreme per creare un finale soddisfacente temendo che se non lo troverà si possa rompere l’incantesimo. Dopo aver vagliato alcune ipotesi, alla fine decide di far sposare la bambola. Descrive il giovanotto di cui lei si innamora, la festa di fidanzamento, le nozze in campagna, perfino la casa dove ora abitano la bambola e suo marito. E poi, nell’ultima riga, la bambola dice addio alla sua vecchia e affezionata amica.

Ma a questo punto naturalmente la bambina non sente più la mancanza della bambola. Kafka le ha dato in cambio qualcos’altro, e alla fine delle tre settimane le lettere l’hanno guarita dal suo cruccio. Lei ha la storia, e quando una persona è abbastanza fortunata da vivere all’interno di una storia, da vivere in un mondo immaginario, i dolori di questo mondo svaniscono. Perché fino a quando la storia continua, la realtà non esiste più.

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