domenica 28 novembre 2010

QUER PASTICCIACCIO BRUTTO DE VIA MERULANA

CARLO EMILIO GADDA


Garzanti Editori.


Recensione di Ivo Ginevra




È impossibile fare una recensione a questo Romanzo con la “R” maiuscola e, di fatto, non la farò perché non so fare quei discorsi da professoroni sull’importanza di questo lavoro nell’ambito della letteratura italiana del novecento. Se me n’arrogassi il compito dovrei scrivere dell’arte del Belli nella parlata in romanesco, e dovrei fare riferimenti anche a Manzoni e “La ricerca dello stile necessario”. Dovrei trattare necessariamente dell’importanza che il dialetto, e la lingua parlata aveva, ha ed avrà nella storia dell’opera narrativa, e spingermi fino al nostro secolo con riflessioni su Camilleri, Niffoi, ecc., ma ripeto non sono quel professore che potrebbe dire, quanto altri emeriti critici hanno già detto.

Dico solo che mi è piaciuto e anche molto.


Dico che da siciliano ho letto, sì con un po’ di difficoltà quest’opera intrisa di spirito romano, ma che alla fine ho capito tante cose sulla romanità che forse non avrei afferrato leggendo altri romanzi su Roma.

Dico che questo classico non deve cadere nel dimenicatoio e che dovrebbe essere insegnato nelle scuole e soprattutto in quelle del Lazio obbligatoriamente.

Dico che il grande regista cinematografico Pietro Germi ha fatto uno splendido film, con il grande Saro Urzì, e che anche questo non dove essere dimenticato.

Dico che me pure venuta la voglia di parlarci in romanesco e quasi quasi in faglja me ce diverto pure a parlaglje, se così se’ scrive.

Solo per farvi capire quanto è bello il romanzo, quanto grande è la genialità del suo autore, e soprattutto, per farvi leggere sto capolavoro di “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, vi trascrivo alcune frasi del romanzo che sono più eloquenti di migliaia di discorsi cattedratici, cominciando dalla descrizione del suo protagonista e credetemi, c’era da trascriverlo tutto.

Ingravallo

Tutti oramai lo chiamavano Don Ciccio. Era il dottor Francesco Ingravallo comandato alla mobile: uno dei più giovani e non si sa perché, invidiati funzionari della sezione investigativa: ubiquo ai casi, onnipresente negli affari tenebrosi………Vestito come il magro onorario statale gli permetteva di vestirsi e con una o due macchioline d’olio sul bavero, quasi inpercettibili però, quasi un ricordo della collina molisana.

…..In simili materie Don Ciccio era piuttosto versato : intuizione viva, e fino dagli anni della pubertà: aperta, poi, a tutti gli incontri demici della stirpe “fertile in opre e acerrima in armi”.

Un dubbio naturalmente. Un dubbio perfido però…che gli faceva dolorar le tempie, un dubbio dei più Ingravalleschi, dei più Doncicciani.
 
“Mah” pensò Don Ciccio per confortarsi “qualunque figlio ‘e bona femmina è illibato, fino al suo primo amore … con la questura.

 
Il collega di Ingravallo
 
Per quello che era donne, poi, e sfruttatori de donne, amore, amanti, matrimoni veri, matrimoni finti, corni e controcorni, nun c’era che lui, se po’ dì. …be’ lui in quela fanga, ce schizzava dentr’è fora come un autista de piazza. Lui sapeva a memoria tutte le coppie, co tutte le parentele e tutte le ramificazioni che je sbottaveno fora a primavera, o in testa o giù de testa:… co tutti l’incastri possibili: nascita, vita, morte e miracoli. Sapeva li buchi ch’affittaveno, e quanno se moveveno da qua pe annà là, le cammere matrimoniali, li cammerini, le cammere a ore, li sommiè e insino l’ottomane, co tutte le purce che ce stanno de casa, una per una.

 
Il maresciallo Santarella

Con la pelle generosa degli italici, nelle lor messi cotti a luglio, a sole trebbiato: una salute da sensale di campagna.


La notizia criminis
 
Quando i due agenti gli dissero: “Se so’ sparati a via Merulana: ar duecentodicinnove: ner palazzo de li pescicani…”, un fiotto di sangue incuriosito, forse angosciato, gli inondò il ventricolo di destra.

 
Descrizione dei luoghi

Una di quelle grandi case dei primi del secolo che t’infondono, solo a vederle, un senso di uggia, e di canarinizzata costrizione. Davanti al casermone color pidocchio una folla.

 
La folla e le metafore di Ingravallo

Nell’andito e in portineria un’altra piccola folla, inquilini dello stabile: il cicaleccio delle donne. Ingravallo salì al terzo piano della scala A. Giù seguitò la gran ciarla: le voci spiegate o addirittura canore delle femmine, emulate da qualche trombone maschio, a quando a quando ne venivano addirittura sopraffatte: come le cervici chine delle vacche dalle gran corna del toro.
 
….Era una confusione di voci e di aspetti: serve, padrone, broccoli….Vocine agri o infantili aggiungevano dinieghi o conferme. Torno torno un barboncino bianco scodinzolava eccitato e de tanto in tanto abbaiava puro lui: il più autorevolmente possibile.
 
Le donne volevano sapè. Tre o quattro, deggià, se sentì che parlaveno de nummeri: ereno d’accordo p’er dicissette, ma discuteveno sur tredici.

 
La vittima

La signora Liliana di quando in quando, si sarebbe creduto sospirasse. Ingravallo notò che due o tre volte, a mezza voce, aveva detto mah! Chi dice ma, cuore contento non ha.

 
L’azione criminale

Lui rivoltosi, le aveva puntato una pistola sulla faccia: “Azzittete befana, sinnò te brucio”.

 
Gli avvocati
 
Oh! Gli avvocati! Com’erano simpatici! E che buoni clienti! Bisognò un attimo, ma mai ad esser lei la cliente loro, cogitò.


Descrizione di un’inquilina

La Menegazzi nun s’era potuta pettinà: pareva una perucca de peli de granturco co li nastri, quello che ci aveva in testa. Diceva che il palazzo aveva la maledizione dentro i muri.


La stampa (piuttosto attuale già da allora e invasiva…solo quando vuole)

Era venerdì. Li cronisti e il telefono avevano rotto l’anima tutta la sera: tanto a via Merulana che giù, a Sante Stefene.

 
Le indagini

Le indagini si sarebbero dovute estendere a mezza penisola, con un lento monsone di fonogrammi.

“bè: allora dite: subito, bisogna rispondere, cara la mia madama: no pensarci un secolo. A pensarci tanto l’è di sicuro una bugia.

Il volto gli si illuminò dell’aurora del ci siamo


Descrizione del fabbro (superba)

Da ultimo fu chiamato un fabbro. Un vereo Don Giovanni delle serrature: ciaveva un mazzo de rampini co un beccuccio in fonno, e je bastava de faje appena er solletico o coll’uno o coll’antro, che quelle già se sentiveno de nun potè più resiste. Pareveno come una donna virtuosa che perde i sensi.


Una bella ragazza con la dote

Era una splendida figliola, ed era un cofano di gioie… Era una figliola, con una scatoluccia: di cui loro, i Valdarena, avevano affidato al marito la chiavicina: e il diritto di servirsene, tric tric: il santo usufrutto.

 
Una confessione

…lei arrossì, abbassò gli occhi sul ventre, come l’Annunziata quanno che l’angelo se mette a spiegaje tutta la faccenda: poi prese coraggio a risponne…
 

Lo spirito romano di Ingravallo
 
Era una giornata meravigliosa: di quelle così splendidamente romane che perfino uno statale di ottavo grado, ma vicino a zompà ner settimo, be’, pero quello se sente aricicciasse ar core un nun socchè, un quarche cosa che rissomija a la felicità.

“Amico, che amico! amico ‘e chi?” Raccolte a tulipano le cinque dita della mano destra, altalenò quel fiore nella ipotiposi digito-investigativa tanto in uso agli Apuli.

Ereno passati li tempi belli …che pe un pizzico ar mandolino d’una serva a piazza Vittorio, c’era un brodo longo de mezza paggina.

 
Ingravallo e il vino
 
A Marino, artro che quel’ambrosia ce sta! A la grotta de sor Pippo ce steva un bianco malvagio: un vigliacchetto de quattr’anni in certe bottije che cinque anni prima averebbe elettrizzato il ministero….


Il risveglio di Ingravallo

A occhi ancora chiusi o quasi, infilò le ciabattazze: che parevano attenderlo come due bestiole accucciate sul parquet: attendere i piedi ognuno il proprio…Un Apollo non più ventenne, un tantino pelosetto. Si grattò il testone, si appressò alla vaschetta, e dato libero corso alle linfe s’insaponò il naso e la faccia, il collo e le orecchie. Sgrullò il parruccone sotto il rubinetto alto del lavabo, con quei soffi e quelle strombate de naso, come di foca venuta a galla dopo le sue giravolte sott’acqua…

 
Ingravallo e l’invidia

Non s’azzardi d’accusà Giuliano, verga splendida della ceppaia, solo perché ne deve subire il confronto.

“ah” fece Don Ciccio, “congratulazioni sentitissime”. Una smorfia atroce, una faccia di catrame…


Le battute di spirito di Ingravallo

“Ci vuol poco” grugnì don Ciccio fra sé e sé: “dove l’hanno comprata la nafta, da ‘o broccolaro?”.

 
Ingravallo e la donna

La personalità femminile – brontolò mentalmente Ingravallo quasi predicando a se stesso – che vvulive di? …’a personalità femminile, tipicamente centrogravitata sugli ovarii.


Riflessioni di Ingravallo sul ruolo del marito nel matrimonio senza figli

...mancandole i figli il marito cinquantottenne decade senza alcun demerito a buon amico, ma di gesso, a ornamento piacevole della casa, a delegato e segretario generale della confederazione dei soprammobili, a mera immagine ovvero, cioè, a manichino di marito: e l’uomo in genere è degradato a pupazzo. Un arnese che non serve.

 
Antifascismo
 
Chi è certo d’avere ragione a forza, nemmeno dubita di poter avere torto in diritto. Chi si riconosce genio e faro delle genti, non sospetta d’essere moccolo male moribondo o quadrupede ciuco.

…che da quanno nun c’era ancora sto Pupazzo a Palazzo Chiggi, a strilà dar barcone come uno stracciarolo.

Ladro de pentole e di casseruole a tutte genti: co la scusa de facce la guerra all’Inghilterra.

…il testa di morto in pennacchi eruttò che la polizia….

…o da chilo ferente d’ ‘o palazzo Chigge.

Ivo Tiberio Ginevra



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