martedì 20 marzo 2012

LA TROMBA


Autore: Walter De La Mare

Editore Sellerio Editore Palermo (collana La memoria)
Anno 1993, 80 p.


Recensione di Ivo Tiberio Ginevra
pubblicata su thrillerpages.blogspot.com

Parliamo di Walter De la Mare e in particolare di un suo piccolo racconto, La tromba (pubblicato nel 1936) di appena 50 pagine iniziando proprio dal suo esergo: Ed egli rispose… Son forse io il custode di mio fratello? (Genesi, 4, 9).

Bello, forte e soprattutto azzeccato come miglior preludio possibile per parlare dell’emblematico rapporto fra due fratellastri che finisce in tragedia.

Philip e Dick. Il primo è il figlio del pastore di una chiesa ed è legato al piccolo Dick da un fascino che lo irretisce nel bene e nel male, mirabilmente descritto in poche battute da De la Mare:

“Era una compagnia che lo irritava, a volte in modo quasi insopportabile, ma dalla quale non riusciva a svincolarsi…. … In qualche occasione, persino la vista di quel volto assorto dal naso esiguo, e dei neri occhi ora dardeggianti di vita e di ardore, ora oppressi da una imperturbabile malinconia, di quelle stesse manine leste e e di quelle minuscole orecchie aguzza, riempiva Philip di una profonda avversione. Ciò nondimeno la sua compagnia aveva un fascino singolare e imperituro… … Philip lo ammirava, lo disprezzava, ne era geloso e talvolta lo odiava con tutta l’anima.”

De la Mare, maestro nello scandagliare la psiche dei fanciulli (li troveremo, infatti, sempre fra i protagonisti delle sue opere), pagina dopo pagina inizia a coltivare l’odio e l’invidia di Philip nei confronti del fratellastro:

“Era un mistero. Se mai, in qualche rara festa o celebrazione, si doveva cantare un a solo nel minuscolo coro del paese, era Dick che lo cantava … … sebbene fosse risaputo che il pastore si vantava del valore del suo coro, Philip non riusciva a ricordarsi di una sola parola di elogio da parte di suo padre a funzione finita, nemmeno di un piccolo, enfatico colpetto sulla testa. Per quanto riguardava lui, Dick avrebbe potuto essere un sordomuto.”

L’autore inglese costruisce un efficace movente, inserendo nei meccanismi dell’odio l’inspiegabile preferenza del padre verso Dick, e lo fa per l’appunto in maniera fanciullesca, entrando nella psiche del giovanetto che non capisce perché il suo arcigno padre ha la tendenza nei confronti del fratellastro a perdonare tutto, oppure a minimizzare, quando in altri casi avrebbe fatto una tragedia. Il quadro finale ci propone un fratello maggiore, orgoglioso al punto “che neanche per un attimo riesce a dissimulare il suo senso di superiorità”, ma nel suo animo vive il rapporto con Dick sempre nel perpetuo conflitto iniziale “fra affetto, gelosia e spregio”.

Il risultato di De la Mare è quello di aver creato solo dopo poche pagine un eccellente personaggio complesso, controverso e arguto, dal quale si attende nel prosieguo della storia, un qualcosa d’indefinito che presagisce alla tragedia.

La costruzione letteraria, oramai improntata verso la rivisitazione in chiave moderna del mito di Caino e Abele, in ossequio alla migliore tradizione narrante, non tralascia ad arte, d’incanalare le simpatie del lettore sul piccolo Dick. Scavezzacollo, simpatico, intelligente, vivace, curioso, spaccone e coraggioso al tempo stesso, ma soprattutto buono e indifeso:

“…E Dick coglieva quei segreti sentimenti, espressi soltanto nel volto e nelle azioni di Philip, con la destrezza e rapidità con cui un pettirosso becca le briciole. Eppure non vi faceva mai riferimento, né sembrava ne risentisse per più di un minuto o due.”

Completata la costruzione psicologica dei due protagonisti, De la Mare non tralascia di descrivere in maniera perfetta il luogo dove si svolge l’azione, caricandolo di quella dovuta tensione ricca di mistero e suspance.

Il luogo è nell’incipit:

“La minuscola chiesa, oscuramente illuminata da una luna piena che non aveva ancora trovata una vetrata attraverso la quale i suoi raggi diretti potessero penetrare le tenebre, era deserta e silente.”

Luogo insolito. Orario inverosimile. Mezzanotte. Timori e presagi. Rabbia e terrore. Misticismo e realismo. Tranquillità da accapponare la pelle. E dentro il tempio due fanciulli. Philip e Dick, in una prova di coraggio:

"Sono venuto soltanto per gioco, e perché mi hai sfidato a farlo. La ragione per cui mi hai chiesto di venire è in realtà che tu avevi paura di stare qui da solo”.

Atmosfera e tensione descritti con il tocco del maestro:

“…e nel silenzio che, appena le loro lingue ebbero cessato di ciarlare, sommerse completamente la chiesa, stettero in ascolto, i sensi avidi del più debole sussurro. Ma la notte era senza vento e la terra gelidamente quieta nel funereo fulgore lunare.”

L’ambientazione misteriosa e mistica, dove anche gli angeli di marmo sembrano vigili nel loro letargo, con l’incalzare della storia che si dipana fra rinvii fatti ad arte e tensione accumulata, alla fine confluisce nell’irreparabile. Dick abbocca al sacrilego temerario invito di Philip di soffiare nella tromba dell’angelo al soffitto perché resusciterà i morti, e nel tentativo trova la morte schiantandosi al suolo. L’ordine naturale delle cose sembra ristabilito nella tetra chiesa dallo stesso angelo vendicatore che ha ritenuto opportuno intervenire per riportare l’edificio nella sua santità. L’istigazione cattiva di Philip, che vive con incanto il mistero religioso, invece, si è coronata con la morte del fratellastro, ma il rimorso, la colpa, iniziano fin da subito a dilaniare l’animo e la coscienza del sopravvissuto riproponendo nel rimorso, il mito di Caino e Abele:

“Dick! Dick!... Io non volevo questo. Ti giuro che non volevo questo. Non mi abbandonare…”

In conclusione leggendo il racconto “La tromba” di Walter De la Mare, da lui stesso inserito nella raccolta dei suoi racconti più belli, si resta fortemente colpiti dalla capacità dello scrittore inglese di creare con stile raffinato e poetico, una tensione crescente perfetta ed essenziale, frutto di una accentuazione del pathos fatto di rimandi, e divagazioni ricche di descrizioni accurate degli ambienti, senza tralasciare un profondo scandaglio psicologico dei personaggi. Forse in questo racconto manca una vera e propria suspence nel senso stretto del termine, come lo intendiamo noi uomini del 2012, ma la padronanza di uno stile letterario del tutto unico e irripetibile, lo collocano senza dubbio fra i migliori testi di genere del secolo scorso; indubbiamente ideale per dedicarsi all’apprendimento di quei meccanismi di perfetta narrazione da parte di chi ha deciso di intraprendere l’arte della scrittura.
recensione di Ivo Tiberio Ginevra

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